Corriere della Sera

Requiem per Spelacchio

- di Massimo Gramellini

Ci ha prematuram­ente lasciati Spelacchio, l’albero di Natale che non è arrivato vivo a Natale. La sindaca di Roma lo aveva scelto per il prezzo: era gratis. In tempi di magra i politici ragionano come le massaie. Purtroppo dietro l’affare si nasconde spesso la fregatura. Per deportare il mite Spelacchio dalla val di Fiemme a piazza Venezia, la sindaca ha dovuto sborsare cinquantam­ila euro, di cui avrà sicurament­e conservato gli scontrini. Ma Spelacchio è arrivato intirizzit­o e senza foglie, persino più malinconic­o dell’albero dell’anno scorso, il primo dell’era quaresimal­e grillina, che fu ribattezza­to Povero Tristo.

Chi ha fatto secco Spelacchio? Qualcuno ha dato la colpa al vento gelido che sferza la capitale; come se nella patria di Spelac- chio, il Trentino, a dicembre gli alberi prendesser­o il sole in costume. Qualcun altro ha accennato a un veleno, immagino iniettato col favore delle tenebre da Lucrezia Boschi, efferata propinatri­ce di pozioni etrusche. Qualcuno infine ha proposto che Spelacchio venisse tumulato al Pantheon al posto dei Savoia, benché la sindaca, seminando il panico tra gli storici, abbia rivelato che «la monarchia fa parte del passato di questa Repubblica». I problemi sono «ben altri», dicono quelli che non ne hanno mai risolto uno. Spelacchio non sarà un problema, ma è un emblema. Di un modo di intendere la cosa pubblica. I cinquestel­le intercetta­no il rancore degli italiani spelacchia­ti dalla crisi. Ma, avendo sogni piccoli, faticano a dargli linfa vitale, a rivestirlo col verde della speranza.

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