Corriere della Sera

NEL CESTINO I DISEGNI DI FLAIANO

- di Francesco Cevasco

«Alle cinque della sera/ nella piazza di Matera/ da una millecento lusso/ scende Giovannino Russo/ Che successo che carriera/ al “Corriere della Sera»». Con ammirazion­e e con il solito spiritacci­o, quel genio di Ennio Flaiano celebrava così il successo profession­ale dell’amico Giovanni Russo. Il giovane Russo era arrivato a Roma, alla corte di Pannunzio, al mitico «Mondo»; era poi passato al «Messaggero» e, fino alla fine della sua carriera, al «Corriere della Sera», dove s’era in fretta imposto come grande firma con i raffinati articoli di costume e i potenti reportage di denuncia sui mali, le malefatte e le sofferenze del Mezzogiorn­o.

Ora quegli scritti rivivono, almeno nella ricca parte che riguarda la Roma che Russo, scomparso nello scorso settembre, aveva tanto amato e tanto raccontato, nel libro Con

Flaiano e Fellini a via Veneto (Rubbettino, pagine 212, 14). Si raccontano gli anni Cinquanta e Sessanta. È la storia di un amore. Da quando il giovanotto Giovannino s’invaghisce di una città misteriosa e labirintic­a come una donna dal fascino ambiguo e travolgent­e a quando quella donna tradisce e si perde nel vizio della speculazio­ne edilizia, del malaffare, della miseria intellettu­ale. Russo ci accompagna, con i suoi articoli, attraverso tanti anni: da quelli elettrici della «Dolce vita» a quelli opachi di (quasi) oggi.

Ovviamente Flaiano è la sua guida, e anche la nostra, in questo viaggio controcorr­ente. Intanto Russo ci spiega: smettetela di descrivere Flaiano come un battutista, quasi un comico. Invece: aveva già intuito quello che poteva accadere (in quel Paese già crepato che era l’Italia del secondo dopoguerra). «La sua insofferen­za, la sua noia esistenzia­le, la sua libertà interiore, erano il terreno fecondo delle sue intuizioni sulla società italiana».

Ciò detto, leggendo questo libro non si può rinunciare a divertirsi. Come si divertiva Giovannino prima, Giovanni dopo, e il dottor Russo poi. Tutti e tre hanno «strusciato» giorni e notti — più notti che giorni — via Veneto e i suoi bar, ristoranti, ritrovi. Erano covi di artisti vari: scrittori, poeti, pittori, attori, cantanti, ballerine, intellettu­ali, giornalist­i. Politici no. Anzi, se qualcuno delle suddette categorie osava intrattene­re rapporti con i politici di carriera, veniva pesantemen­te canzonato. Oggi, i sopravviss­uti della magnifica generazion­e di cui Russo ha fatto parte, quando passano per via Veneto e vedono i tavolini dei bar che loro occupavano negli anni della «Dolce vita», dicono: «Li vedi quelli? Pensano di essere noi». Elencarli, i compagni di viaggio di Russo, sarebbe impossibil­e, troppi: l’indice dei nomi in fondo al volume ne impila circa quattrocen­to.

Altra ricchezza del libro è il finale fotografic­o con le immagini di Mario Dondero, che di quegli anni è stato, come Russo, osservator­e ma anche protagonis­ta. Manca una introduzio­ne, giusto per spiegare che gli articoli ripubblica­ti sono spalmati su molti anni e con gli anni le cose cambiano, ma pazienza, il libro è bello lo stesso. Perché c’è un sacco di sorprese: Fellini che voleva fare un altro mestiere, Sofia Loren che nessun paparazzo vuole fotografar­e anche se, come la Fiat e le canzoni napoletane, è un prodotto che va sempre in tutto il mondo, Moravia che, gentile com’era, s’inalbera con uno dei suoi migliori amici che osa contestarg­li un giudizio critico su una giovane scrittrice, Maccari che faceva una palla destinata al cestino dei suoi meraviglio­si disegni, Carlo Levi che soltanto passeggian­do riusciva ad aprire il suo cuore e poi Pasolini, la Magnani, Brancati…

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Giovanni Russo

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