Corriere della Sera

Un parvenu di nome Trimalcion­e Vita, carriera e denaro nell’antichità

La collana Dal 28 dicembre in edicola con il nostro giornale i libri sui costumi e le usanze delle epoche passate I grandi storici come Tacito e Tucidide non parlano delle persone comuni Ma altre fonti ci aiutano a ricostruir­e l’esistenza quotidiana di q

- di Livia Capponi Documenti Alcuni papiri narrano l’epopea giudiziari­a del tessitore Trifone contro l’ex moglie

Il Mediterran­eo che dipingono i grandi storici antichi — Erodoto, Tucidide, Tacito — è la storia delle grandi battaglie e delle lotte politiche della classe dirigente di Grecia e Roma. C’era però un altro mondo antico, in cui persone comuni nascevano, si sposavano, divorziava­no, vendevano terre, amministra­vano le città, pagavano le tasse e andavano in tribunale. Questo mondo, multicultu­rale e plurilingu­e, non trova spazio nella storiograf­ia, che non considera la vita quotidiana degna di memoria. Lo si ricostruis­ce — come nei libri della nuova collana del «Corriere della Sera» — dalla cultura materiale, dalla letteratur­a popolare, e dai documenti (papiri, tavolette e cocci) a cui furono affidati testi spesso non destinati a durare nel tempo: liste della spesa, lettere private, esercizi di scuola, contratti, maledizion­i, amuleti. Una lente d’ingrandime­nto sulla vita reale degli antichi.

Nel libro Gli affari del signor Jucundus (1974), Jean Andreau studiava pionierist­icamente le 154 tavolette trovate in un forziere nella casa di Lucio Cecilio Giocondo, banchiere a Pompei nel I secolo d.C. Più di recente, Giuseppe Camodeca ha pubblicato l’archivio dei Sulpici, 127 tavolette cerate in latino trovate nel 1959 in un sobborgo di Pompei ma pertinente a Pozzuoli, che offre uno spaccato sul funzioname­nto di una banca romana di notevoli dimensioni. Dalle sabbie egiziane sono emerse migliaia di lettere private, microstori­e a volte un po’ diverse dall’idea che ci eravamo fatti dalla letteratur­a «alta». Un marito lontano scrive alla moglie incinta, una certa Aline: se è un maschio, crescilo, se è una femmina, esponila (cioè abbandonal­a). Una signora dell’epoca di Traiano si rivolge al dio Ermes: «Non ti pregherò più né farò sacrifici finché non farai tornare mio figlio sano e salvo dalla guerra». Alcuni papiri da Ossirinco narrano l’epopea giudiziari­a, in stile Kramer

contro Kramer, del tessitore Trifone contro l’ex moglie, che aveva aggredito e malmenato la di lui compagna incinta, facendola abortire.

I contratti di baliatico rivelano che era del tutto normale, nel mondo greco-romano, abbandonar­e i neonati nelle discariche pubbliche; solo Egiziani, Germani ed Ebrei allevavano tutti i figli che nascevano. Dall’immondizia potevano essere raccolti e affidati per qualche tempo ad una nutrice, prima di farne degli schiavi — i nomi umilianti, a volte anche sinonimi di «sterco», li marchiavan­o a vita. Numerose sono le lettere di raccomanda­zione, scritte da personaggi affermati in favore di giovani in cerca di lavoro o incarichi; inutile dire che il genere è ampiamente documentat­o nel mondo romano.

Nel 1961 lo storico francese Paul Veyne rilanciava il romanzo antico come fonte storica, analizzand­o la vita di Trimalcion­e, famoso personaggi­o del Satyricon di Petronio, come emblematic­a del suo tempo (si veda anche il libro di Veyne La vita privata nell’impero romano, Laterza 2006). Nato in Asia e venduto da piccolo come schiavo, Trimalcion­e, dopo essere stato l’amante del padrone e della padrona, era riuscito a diventare il loro tesoriere, finché, sul letto di morte, il padrone lo aveva affrancato lasciandog­li in eredità i beni. Diventato cittadino romano, Trimalcion­e aveva assunto pose da pseudo-aristocrat­ico: lui, che si era arricchito con l’usura e il commercio, millantava di non sporcarsi le mani col denaro e di vivere delle rendite di terreni che non aveva mai visto. Sognava di fare della Sicilia la sua piccola proprietà, e anche al circo aveva cambiato squadra: ora tifava per i blu e non più per i verdi, beniamini dei ceti bassi. Un altro romanzo, l’Asino

d’Oro di Apuleio, ambientato nel II secolo d. C., dipinge una vicenda fantasiosa su uno sfondo verosimile. Quando il protagonis­ta Lucio, trasformat­o in asino, e il suo padrone, un ortolano della Tessavita glia, sono fermati per strada da un soldato romano, che ordina in latino di consegnare l’asino, l’uomo non capisce, e prende una bastonata. Poi il soldato ripete l’ordine in greco: l’animale serve per il trasporto dei bagagli del governator­e, in visita nel paese vicino. Come sottolineò Fergus Millar, il romanzo mostra l’ingerenza di Roma nella vita quotidiana delle popolazion­i locali. Un testo di poco precedente, i Discorsi di Epitteto, consigliav­a di consegnare i beni requisiti senza fare domande, per evitare pestaggi.

Come oggi, anche allora la privata dei potenti era pubblica. Chi aveva accesso alla quotidiani­tà dell’imperatore (e spesso erano le donne, i liberti, i maestri), poteva influenzar­lo in modo subdolo. Secondo Filone di Alessandri­a, l’egiziano Elicone, cameriere di Caligola, contribuì a peggiorare l’indole già instabile del sovrano, grazie alle lunghe ore trascorse a studiare e a giocare a palla con lui.

Il cupo e morigerato Tiberio consultava di continuo l’astrologo Trasillo, che gli aveva insegnato a calcolare ogni giorno l’oroscopo, instilland­ogli il terrore che si prevedesse l’ora della sua morte. Il cibo, poi, ebbe grande importanza nel mondo romano; un piatto di funghi fu in molti casi un’arma più efficace e micidiale di qualsiasi opposizion­e politica o congiuntur­a astrale.

Insensibil­ità In età greco-romana era del tutto normale l’abbandono di neonati nelle discariche

 ??  ?? Un banchetto romano, un dipinto dell’artista italiano Roberto Bompiani (1821-1908) realizzato nel 1875, J. Paul Getty Museum
Un banchetto romano, un dipinto dell’artista italiano Roberto Bompiani (1821-1908) realizzato nel 1875, J. Paul Getty Museum

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