Il self made Jackman che illuse il pubblico con il circo Barnum
Èsempre il più grande spettacolo del mondo, tanto per citare Cecil B. De Mille: il circo con le sue meraviglie al cinema vissute con piglio d’autore (Chaplin, Altman, Fellini, Bergman, Browning…) ma anche per far cassa, far esplodere meraviglia, sognare a occhi aperti e, per buon peso, con un optional di tolleranza verso i «freaks» veri o fasulli.
Nel film di un deb di talento, Michael Gracey, forse il più natalizio di tutti, si ricordano vita e miracoli (la morte fu nel 1891) di Phineas Taylor Barnum, che passò la vita a illudere il pubblico fra nani, giganti, donne scimmie ed elefanti ma anche leggiadre soprano come Jenny Lind, con cui tradì i sogni romantici coniugali (Sarah Ferguson contro Michelle Williams). Gran spettacolo musicale (niente a che vedere con lo show di Massimo Ranieri), forte della prestanza anche espressiva ad ugola spiegata Hugh Jackman e del fedele Zac Efron, l’idolo disneyano qui perfino bravo, innamorato della trapezista afroamericana. Ed è lui che offre lo slogan: «Come se il Cirque de Soleil incontrasse Shakespeare». Magari una misura meno.
Ed ecco la biografica trafila del self made imprenditore che arrivò sotto il tendone già maturo dopo aver fondato un popolare baraccone di mostri e animali, l’American Museum.
Sollevato a vista verso l’illusione musical da Benj Pasek e Justin Paul (Oscar La la land), sceneggiato da Bicks e Condon (La bella e la bestia), fatto volare con trascinante fantasia coreografica di Ashley Wallen, il film possiede anche una sua mini carica di attualità nel raccontare l’affabulazione, la realtà virtuale dello show che must go on (fu il primo a dirlo?) il bisogno di fingere per non disperarsi e soprattutto di agguantare, costi quel che costi, il successo.