Corriere della Sera

Rutelli: niente trucchi con la mia Margherita Mi hanno anche offerto di correre ma dico no

«Con Lorenzin tanti avversari di quella lista»

- di Daria Gorodisky

«No, non mi candido ROMA neppure a queste elezioni. Più di uno me lo ha offerto, ma non ho accettato. I miei incarichi profession­ali me lo sconsiglia­no. Ho le mie idee, ma preferisco tenere un profilo discreto e più neutro». Francesco Rutelli, dopo una lunga carriera politica (Radicali, Verdi, I Democratic­i, La Margherita, Pd, Alleanza per l’Italia) in Parlamento, ministeri e Campidogli­o, dal 2016 è presidente dell’Anica, l’Associazio­ne nazionale industrie cinematogr­afiche audiovisiv­e e multimedia­li. Fra meno di 2 mesi si vota: a chi darà fiducia?

«Per adesso non si sa neppure esattament­e quali liste saranno in corsa». La sua area di riferiment­o resta il centrosini­stra?

«La mia storia è lì. Certo, oggi 4 coalizioni contrappos­te sono troppe, difficile ci sia una maggioranz­a. Avremo alleanze e nuove aggregazio­ni dopo il voto».

Civica popolare di Lorenzin e Dellai voleva come logo una margherita simile a quella del partito che lei ha

fondato e guidato. E lei ha posto il veto.

«Certamente. Perché sarebbe un trucco. Un modo per alludere a una formazione che ha avuto 5 milioni e 400 mila consensi e, nelle proprie fila, gli ultimi 3 presidenti del Consiglio e l’attuale presidente della Repubblica. Del resto, nessuno potrebbe presentare l’Ulivo, o la Quercia...»

La falce e martello del Pci poi è stata emblema di diversi partiti a sinistra.

«Sul piano giuridico, non si può utilizzare un simbolo senza l’autorizzaz­ione del suo titolare. Usino un altro fiore. La flora italiana ha migliaia di specie e sottospeci­e, come ho studiato per il mio recente esame di Botanica». Chi è il titolare della Margherita?

«Il collegio dei liquidator­i del partito, che ha ricevuto il mandato di tutelare il simbolo dall’assemblea. Con il simbolo, viene tutelata anche una storia politica. Che non può essere sfruttata da nessuno, tanto meno da una formazione che candida in gran parte persone che a suo tempo sono state in liste avversarie».

Dellai però aveva già usato quel simbolo in Trentino, e anche per il Senato nel 2013.

«In Trentino, appunto, dove è nata e nota l’esperienza locale di Dellai. Mettano nel logo tutti i simboli delle loro componenti compresa la margherita del Trentino, ma senza artifici. Altrimenti un elettore di Torino o di Palermo potrebbe pensare che rappresent­ano quello che è stato il nostro partito». La margherita di Dellai è

un po’ diversa.

«La legge è chiarissim­a: un simbolo non deve essere confondibi­le con altri. Se lo è, ne è proibito l’utilizzo anche se in diversa composizio­ne o rappresent­azione grafica. Poi, se vogliamo pensare anche all’aspetto morale della vicenda, i primi a presentare il simbolo della margherita agli italiani siamo stati io e Edo Ronchi, alle Europee del 1989». Su Facebook lei si è augurato di non dover «riferire in

Il fiore Usino un altro fiore o mettano tutti i loro simboli compreso quello di Dellai, senza artifici

pubblico le precise circostanz­e» in cui ha spiegato di non usare la Margherita. C’è qualcosa di indicibile?

«Non amo raccontare i colloqui avuti. Mi hanno chiamato tutti i promotori della lista, volevano avere l’autorizzaz­ione per il simbolo. Ho spiegato amichevolm­ente e sarei sorpreso se commettess­ero la leggerezza di utilizzarl­o». Volevano candidarla? «Sì, anche loro». La Margherita tornerà?

«Non credo a operazioni nostalgia. Certo, c’è spazio per un riformismo moderno e collegiale come quello della Margherita. Per questo il suo simbolo e la sua storia devono continuare a essere tutelati».

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