TRE PROPOSTE PER CAMBIARE IL GOVERNO DEL CALCIO
Nel loro articolo del 27 dicembre 2017 sulla «svolta (mancata) della Fifa», Pilay, Maduro e Weiler, tra i giuristi più rinomati e globalmente apprezzati, raccontano il fallimento della loro breve esperienza negli organi di garanzia del calcio mondiale e avanzano alcune proposte di riforma, invocando un intervento anche dell’Unione Europea.
Tra i maggiori problemi da essi additati vi è quello secondo cui la Fifa non si può riformare dall’interno (neppure quando ci sono le migliori intenzioni, come la loro stessa designazione e altre importanti iniziative e nomine adottate durante il nuovo mandato del presidente Infantino pure chiaramente rivelano): ciò almeno «fino a quando coloro i quali saranno chiamati a guidare una riforma dipenderanno dal beneplacito dei riformati». Di qui la necessità di un’azione esterna a livello sovranazionale, visto che quella di singoli Stati sarebbe vista con sospetto e facilmente disincentivata con la minaccia di ritorsioni, come l’esclusione dalle competizioni internazionali.
L’intervento delle istituzioni comunitarie, tuttavia, non sembra quello più adeguato, non foss’altro perché rimarrebbe comunque una rilevante discrasia tra livello europeo delle misure e dimensione globale del fenomeno. Meglio sarebbe pensare allora a un sistema simile a quello congegnato per la lotta al doping, con l’istituzione di un’agenzia mondiale indipendente compartecipata da governi e comitati olimpici come la Wada, avente il compito di definire e vigilare su criteri di buona governance, etica e trasparenza delle grandi organizzazioni sportive.
Nel frattempo, utili misure potrebbero essere adottate da enti sportivi di livello superiore, come il Comitato olimpico internazionale e l’Associazione delle federazioni sportive internazionali. Il primo, con la recente decisione di esclusione della Russia dalle Olimpiadi invernali per «doping di Stato», ha dimostrato di saper prendere decisioni difficili e coraggiose anche nei confronti di potenti
stakeholder. La seconda ha già adottato alcuni importanti standard di buona governance che potrebbero essere opportunamente adeguati e rafforzati. Né vanno trascurati i significativi impegni e programmi volti a rafforzare il «cuore sociale» dell’Uefa, sottolineati nel messaggio di fine anno del presidente Ceferin.
Non sfuggirà certo al lettore che, mutatis mutandis, il problema denunciato per la Fifa riguarda anche il governo del calcio italiano, all’affannosa ricerca di un nuovo presidente della Figc, dopo la mancata qualificazione della Nazionale al Mondiale e le dimissioni di Carlo Tavecchio. Cambiare presidente senza mutare la governance, tuttavia, difficilmente potrebbe dare benefici sistemici, al di là di specifici miglioramenti come quelli introdotti negli ultimi anni, ad esempio nell’impiego delle tecnologie in campo, nella riforma dei calendari e nella gestione economica e finanziaria, che pure non vanno dimenticati. Il problema è che chiunque venga eletto, anche la persona più autorevole e qualificata, rischia di rimanere prigioniero delle logiche corporative interne e di non poter varare riforme profonde.
Ecco perché, anche in questo caso, un intervento esterno sulla governance da parte dell’ente sportivo di livello superiore, il Coni, appare utile e necessario: ciò a prescindere dall’ipotesi del commissariamento, comunque possibile e anzi doveroso in caso di «comprovata impossibilità di funzionamento» della Federazione. Mi limito, fra le tante possibili, a tre proposte. La prima riguarda la definizione di elevati requisiti di onorabilità e professionalità del presidente federale e di garanzia della sua posizione di terzietà (ad esempio, escludendo l’eleggibilità di chi abbia rico- perto la carica di presidente di una delle leghe nell’ultimo quadriennio).
La seconda consiste nell’introduzione di una quota di consiglieri federali indipendenti, da eleggere nell’ambito di una lista di candidati predisposta dal Coni.
La terza concerne la nomina di un delegato speciale del Coni in situazioni di «crisi» sportiva o gestionale, che tuttavia non integrano i presupposti del commissariamento. Il delegato speciale, entro un breve termine, dovrebbe predisporre una relazione sulle cause del cattivo andamento della Federazione e proporre le relative misure correttive, pena la riduzione di trasferimenti e contributi pubblici.
Ci sono dunque molti sistemi per evitare che — riprendendo le parole di Pilay, Maduro e Weiler — un bel gioco rimanga vittima di una «cultura vetusta» e di un’«organizzazione sbagliata», sia a livello mondiale, sia a livello nazionale. È arrivato il tempo di schierarli in campo con coraggio e lungimiranza.
Dimensione globale Non basterebbe la Ue per riformare la Federazione internazionale Livello superiore Anche in Italia occorre un intervento esterno, in questo caso da parte del Coni