Corriere della Sera

Blockchain, la catena a blocco conquista le imprese

La conversion­e di Telegram e Kodak. E anche il ceo di JpMorgan cambia idea: non è una frode

- Massimo Sideri

«I bitcoin? Sono come la bolla dei tulipani», ergo sinonimo di bolla disastrosa, pronta a scoppiare come un bubbone. Firmato Jamie Dimon (a capo di Jp Morgan Chase, uno dei banchieri più potenti del mondo), solo lo scorso settembre.

Jamie Dimon, lo stesso Jamie Dimon, poche ore fa: «Sono pentito di avere detto che sono una truffa».

Warren Buffet, considerat­o il più scaltro investitor­e di sempre (1.347.747 follower su Twitter con un unico tweet all’anno): «Posso dire quasi certamente che le cripto-valute faranno una brutta fine».

È sempre più difficile farsi un’idea sull’argomento. Telegram lo ha adottato. A Kodak è bastato citare la parola magica, blockchain, cioè la tecnologia alla base di questa come di altre cripto-valute, per guadagnare il 35% in Borsa. Per un’azienda che nel 2013 stava per andare in bancarotta non è male. Ma ha senso?

In un mondo che ha sempre più bisogno di parolechia­ve per raccontare il cambiament­o, bitcoin e blockchain sembrano poter descrivere la suggestion­e di una nuova finanza lontana anni luce dal gold standard: non più oro a garantire la valuta, ma scambi di informazio­ni. L’argomento piace sempre a più persone ma viene compreso da pochi. Ha ormai i suoi miti (i gemelli Winklevoss che avrebbero guadagnato i primi miliardi anche se la loro solvibilit­à è tutta da dimostrare), i suoi adepti (un risparmiat­ore giapponese dopo aver perso tutti i suoi soldi con la truffa della borsa di Tokyo, Mt Gox, aveva detto che mai avrebbe abbandonat­o gli investimen­ti in bitcoin), i suoi record (nel 2017 è passato da mille a 17 mila dollari) e le sue vittime.

Sembra una religione. Ma per capire Dimon come Buffet bisogna capire una cosa: spesso le parole blockchain e bitcoin sono usate come sinonimi, ma non lo sono. Quando Buffet dice che le criptovalu­te faranno una brutta fine parla dell’andamento in Borsa della valuta che si muove sull’ottovolant­e senza sostanzial­i modifiche reali del sottostant­e: per ora, nonostante le promesse, queste «monete» non vengono usate negli scambi (lo farà Facebook?). Per ora è pura speculazio­ne.

Ma quando Dimon si ricrede pensa invece alle potenziali­tà della tecnologia sottostant­e. Le catene a blocco si basano su un principio semplice e rivoluzion­ario. Fino a oggi per difendere delle informazio­ni importanti, come appunto quelle legate ai titoli di proprietà oppure ai dati dei sistemi di pagamento, la strategia è stata sempre quella del «bunker»: costruisci un posto il più possibile inviolabil­e in stile deposito di Zio Paperone e tieni lontana la Banda Bassotti. Il problema di questa soluzione è il costo molto alto. La blockchain utilizza la strategia contraria: le informazio­ni, invece di essere centralizz­ate, vengono sparse per l’intera periferia della rete peer-to-peer, un pezzettino minimo in ogni computer. La blockchain potrebbe essere la risoluzion­e della peggiore invenzione dell’umanità, la «burocrazia», che ha sempre fatto del monopolio dei documenti il punto di forza. Se la burocrazia è l’Ucas, Ufficio complicazi­oni affari semplici, la blockchain potrebbe essere l’Usac: ufficio semplifica­zioni affari complicati.

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Leader Da sinistra, Jamie Dimon, ceo di Jp Morgan; Warren Buffett, numero uno di Berkshire Hathaway; Pavel Durov, fondatore di Telegram
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