Un balletto psichedelico nella mente di Verdone
Guglielmo, specchiata ipocrisia da democristiano ’50 ma insoddisfatto della sua fedina immacolata, commercia in oggetti sacri (successe pure a Sordi, tessuti ecclesiastici) ma è lasciato dalla moglie che dopo 25 anni, improbabile, scappa con la commessa.
Così inizia il suo girovagare in una città delle donne che non conosce e in cui non si riconosce, tanto da trasformarla nella sua mente in un balletto psichedelico. Diverte. La galleria è tutta prevedibile, dalla lavorante burina (Ilena Pastorelli, una decalcomania), alle assatanate da appuntamenti al buio trovate nell’app Lovit, fino all’infermiera buona, degna di Matarazzo. Se c’è un attore di cui vorremmo dire tutto il bene possibile è Verdone, per l’arte della commedia di un cinema arrivato quasi a trenta titoli, che oggi appare vintage e sperduto. Compunto, spiritoso, acidulo quando parla di sé, appena arriva da fuori la play boy story, gli prende la mano con inedita volgarità.
Come fosse passato un regista di cinepanettone: perché non t’inventi una tipa che si eccita con le vibrazioni del telefonino e se lo nasconde proprio lì? Se questo è il minimo sindacale, tutto il resto appare prevedibile, dai vescovi ai teddy boys di malavita al cuoio. Certo lui, Verdone, è un tesoro di annotazioni feroci ma che si perdono senza gag e indicazioni di sceneggiatura: Lante della Rovere fa la borghese dèmi gay, brava Maria Pia Calzone e un tocco di classe è offerto dalla suora laica Federica Fracassi.