Il web irride gli abolizionisti Una rivincita degli italiani
Ese non fossimo, poi, così allocchi? Se l’orgia di proclami abolizionisti contro tasse e leggi, la cornucopia di promesse cancellazioni contro canoni e regole e, in definitiva, contro l’ordine stesso della nostra convivenza, avessero infine vaccinato gli italiani? Se dosi quotidiane di bubbole e nuvole ci avessero al dunque mitridatizzati?
Quando è troppo, è troppo. Sul Corriere di martedì Antonio Polito ricorreva all’efficace immagine del Mercante in Fiera per spiegare questa gara dei partiti nell’ammiccare a ogni categoria sociale, sempre proponendo il taglio più appetibile, la marcia indietro più attraente e velleitaria dagli interessi generali verso il particulare di ciascuno in vista del 4 marzo. E dunque via le tasse, sia grazie a una tassa unica e flat, piatta, sia in più modesta versione universitaria, via il canone Rai, via i vaccini, via dall’euro, via lo spesometro e il redditometro, via il bollo auto, via la Fornero e il Jobs act insomma via la povertà, diamine, chi più ne ha più ne tolga. Il buon Di Maio, poiché l’importante è esagerare, assicura che ne farà fuori 400, di leggi e leggine. Quali? Boh. Proponetelo voi stessi, iscrivendovi a un sito apposito: quale vi sta più sulle scatole? Fatevi avanti. Quanto ci costerebbe questo carnevale è tutt’altra faccenda, ovvio.
Forse è nato (anche) per questo l’hashtag di Twitter #AbolisciQualcosa, che celebra con un ghigno la rivolta del buonsenso popolare contro le panzane di una campagna elettorale divenuta, in barba alle sagge raccomandazioni del presidente Mattarella, sempre più sfrontata. #AbolisciQualcosa, e via con i generi e la fantasia: «I cinque secondi in cui il ventilatore fa vento verso nessuno»; «il portiere di calcio, così vediamo più gol» ; «i brufoli»; «la pizza con l’ananas»; «i bagni dove si spegne la luce mentre ancora fai pipì», «il limite a 200 di colesterolo»... Ce n’è di più seri, certo: «Aboliamo ogni diseguaglianza sociale». E naturalmente di più politicamente affilati. Nulla viene risparmiato a Gigino Di Maio: «Vuole abolire 400 leggi, così il libro di diritto privato si dimezza e magari si laurea». Ma neppure a Renzi («aboliamo le sue promesse»), Berlusconi («aboliamo la minestra riscaldata»), Salvini («aboliremo tutti i libri che ha letto, perché nessun libro dev’essere abolito») e via di leader in leader. Insomma, pure se i cinguettii della Rete vanno presi con le molle, perché Twitter non è la realtà ma un suo specchio deformante, tutto questo somiglia abbastanza a una tendenza o, per dirla modernamente, a un trend.
Lo è perfino un po’ di più se si incrocia con un nuovo venticello di fact checking (ci si passi il reiterato e insopportabile uso dell’inglese), insomma di verifica dei fatti e delle coperture, che pare spirare potente nelle redazioni a fronte di tante cifre sparate a capocchia dai politici. Il vento soffia dalle agenzie (AdnKronos faceva due conti l’8 gennaio, «Fornero, Rai e università: quanto costano gli slogan elettorali»), alle tv fino ai quotidiani, persino quelli di solito concilianti con una certa grammatica populista (Libero, 9 gennaio: «Mentono sapendo di mentire. I politici fanno promesse che non manterranno»).
Insomma, che costino 350 miliardi nei prossimi 40 anni o 200 nei prossimi dieci, i regali dei politici nostrani parrebbero destinati stavolta a confrontarsi vieppiù con una domanda semplice: scusi, chi ce li mette i soldi? Le risposte sono spesso ancora più strabilianti delle proposte, ma questo meriterebbe forse un nuovo hashtag. Non ci si accusi di eccessivo ottimismo se immaginiamo allora l’avvicinarsi di un tempo in cui una risata le seppellirà. Perché si può imbrogliare qualcuno tutte le volte, tutti una volta, ma non tutti tutte le volte. Lo pensava Lincoln. Non si può escludere che, con qualche ritardo, abbiano cominciato a capirlo pure gli italiani.
Aboliremo i 5 secondi in cui il ventilatore fa vento su nessuno
Aboliamo il portiere di calcio così si vedono più gol
Abolire il congiuntivo così da favorire un candidato a premier