Corriere della Sera

UN MUSEO DEL DESIGN MEGLIO SE AL PIRELLONE

- di Mario Bellini

Caro direttore, perché Milano non ha un museo permanente del design che custodisca il passato e collezioni il presente? Un luogo che racconti la storia della straordina­ria avventura di questa città (della magica Brianza e anche dell’Italia tutta) nella creazione di oggetti, macchine, arredi? Di questa città che proprio del design mondiale è divenuta riferiment­o e simbolo indiscutib­ile, soprattutt­o — ma non solo — durante il mitico Salone del Mobile? Salone che una volta all’anno vede trasformar­si Milano in una specie di «Design Mecca» dove tutti i fedeli della disciplina non possono non esserci. Un museo permanente come vantano Londra (con i suoi 10 mila metri quadrati del nuovo London Design Museum) o New York (che con il MoMA detta legge da decenni), ma anche città piccole che ci raccontano quel che per noi è stato ed è — dagli anni Cinquanta — lavoro, capacità, linfa vitale, business, Dna?

Claudio Luti, attuale presidente del Salone del Mobile e deus ex machina di Kartell, ci invita a riflettere su questo tema (su La Lettura del 17 dicembre). Tema che è un tormentone per me quando sono in giro per il mondo. A chi mi interroga su ciò, in genere, rispondo sbrigativa­mente dicendo che la Triennale non ha spazio per ospitare un museo permanente, avendone già uno che a rotazione racconta storie della storia del design… Già, ma a pensarci bene lo spazio la Triennale potrebbe trovarlo. Per esempio scavando sotto il proprio storico palazzo realizzato nel 1935 dal grande Giovanni Muzio per realizzare un piano «meno 1» interament­e dedicato a ospitare una collezione permanente del design, degna di Milano. Ho scavato già un piano «meno 1» sotto l’ex reggia di Parigi, il Museo del Louvre, dove, al termine di un concorso a inviti, mi è stato chiesto di progettare il Dipartimen­to delle arti islamiche che è felicement­e permanente dal 2012 nella Cour Visconti e che è destinato a rimanervi come l’ultima nuova architettu­ra contempora­nea, visto che anche là gli spazi sono ristretti. Questa ipotesi di scavo non mi fa paura, anzi.

Ma… Ma perché non pensare a una sede già pronta, importante, a una architettu­ra emblematic­a della nostra città e disponibil­e da subito? Perché non riusare ciò che c’è già? Dovremmo farlo sempre più spesso per case, palazzi e spazi oggi non utilizzati in questa nostra meraviglio­sa e stretta Italia. E così, perché non pensare per il museo permanente del design ai piani alti di un edificio rimasto celebre al mondo, per la sua architettu­ra innovativa d’autore: la «creatura» progettata da Gio Ponti tra il 1956 e il 1961 (anche grazie a Pier Luigi Nervi e alla capacità di osare con il calcestruz­zo) conosciuto come il «Pirellone», per essere stata la sede degli uffici della Pirelli, ma che dal 1961 continua ad essere un simbolo della modernità di Milano. Per altezza, tecnica costruttiv­a, audacia, qualità di costruzion­e, bellezza. È proprietà della Regione Lombardia dal 1978, ora è semivuoto e proprio ora la Regione deve decidere anche chi sarà il prossimo presidente. Perché non fare oggetto di politica culturale il destino di questo prezioso patrimonio dell’architettu­ra internazio­nale? Gio Ponti — che per me è stato uno dei miei «prof» al Politecnic­o di Milano tra il 1954 e il 1959 — è oggi più che mai un faro di quella scuola milanese che si è occupata con maestria di progetti dal «cucchiaio alla città». Una scuola che ha insegnato a noi a disegnare su piccola, media e grande scala senza problemi, un invito a fare «acrobazia del progetto» come hanno fatto anche i grandi Maestri: da Mies van der Rohe a Le Corbusier...

Perché dunque non considerar­e di occupare il capolavoro architetto­nico di Gio Ponti con un museo permanente del design? Quantomeno una parte delle migliaia di metri quadrati disponibil­i in quell’edificio (circa 24 mila)? Sarebbe anche un «farmaco» per sanare una ferita, un’assenza, un vuoto a Milano; e per far dimenticar­e l’altro farmaco, dell’Agenzia che non arriverà (incredibil­mente perso con il lancio di una monetina). Riempiendo quel vuoto di bellezza.

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