Corriere della Sera

«A Sanremo la nostra ironia sul lavoro»

Lo Stato Sociale al Festival: «Ci è arrivato qualche insulto dai fan, ma è solo una gara fra canzonette»

- Andrea Laffranchi

«A desso sono affari loro che ci hanno preso». Loro sono quelli del Festival. Quello che parla, anzi ride, è Bebo Guidetti, un quinto di Lo Stato Sociale, band (ma preferisco­no definirsi collettivo) in gara a Sanremo.

Arrivano dalla realtà delle etichette indipenden­ti e, concerto dopo concerto, l’anno scorso sono arrivati a riempire il Forum a Milano e il PalaDozza della loro Bologna e a beccarsi via Twitter con Salvini. Ironici, goliardici, con in più un occhio alla satira socio-politica; generazion­ali anche se la loro generazion­e l’impegno lo ha perso. Insomma, un curriculum che fa a pugni con il Festival. «Facciamo quelli a cui non frega nulla, ma la sera in cui hanno annunciato il cast eravamo incollati alla tv», dice Checco Draicchio. In passato chi è arrivato all’Ariston con un percorso simile al loro ha affrontato il processo dei fan della prima ora che si sono sentiti traditi. «Ci è arrivato qualche insulto, ma meno di quando abbiamo aperto il canale Vevo (la piattaform­a di videoclip in mano a Sony, Universal e Google, ndr). È una manifestaz­ione che rappresent­a uno spaccato del Paese. È insolito vedere un nome come il nostro, in genere ci vanno personaggi storici o di provenienz­a talent, ma trattandos­i di una gara fra canzonette possiamo metterci il naso», ammette Bobo. Non aspettiamo­ci di vederli in smoking: «Saremo più eleganti del solito, ma quello non lo mettiamo» promette Checco Draicchio.

La canzone, che uscirà in «Primati», una raccolta «differenzi­ata» la definiscon­o loro, si chiama «Una vita in vacanza». Effetto tormentone dietro l’angolo con la cassa dritta da ballare e la melodia fresca. Tema: il lavoro. «Sin dalle origini, nelle nostre canzoni abbiamo parlato di sentimenti ma soprattutt­o di temi concreti. Cerchiamo di occupare tutti gli spazi possibili con lo stato sociale, quello vero non il nostro nome», spiega Albi Cazzola. Il testo fa un elenco di profession­i — da quelle vere cameriere e assicurato­re, Formato vacanza Da sinistra, Francesco Draicchio, Alberto Guidetti, Enrico Roberto, Alberto Cazzola e Lodovico Guenzi ad altre come figlio d’arte, blogger di moda, caso umano — e tutto gira attorno alla domanda se siamo qui a «vivere per lavorare o lavorare per vivere». «Il lavoro è una delle cose più belle della vita quando non ti accorgi che stai lavorando — spiega Lodo Guenzi —. Invece bisogna sempre convincers­i di stare lavorando, anche a costo di inventarsi mestieri fantasma; fantastici, inesistent­i fantasmago­rie, nomi moderni per cose che non sono mai esistite. Eppure basterebbe lavorare di meno realizzand­osi di più. Basterebbe anche avere tutti abbastanza da mangiare e da bere e rinunciare a un sacco di bisogni indotti per non avere il problema di lavorare per vivere... ma solo di lavorare per realizzars­i».

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