«A Sanremo la nostra ironia sul lavoro»
Lo Stato Sociale al Festival: «Ci è arrivato qualche insulto dai fan, ma è solo una gara fra canzonette»
«A desso sono affari loro che ci hanno preso». Loro sono quelli del Festival. Quello che parla, anzi ride, è Bebo Guidetti, un quinto di Lo Stato Sociale, band (ma preferiscono definirsi collettivo) in gara a Sanremo.
Arrivano dalla realtà delle etichette indipendenti e, concerto dopo concerto, l’anno scorso sono arrivati a riempire il Forum a Milano e il PalaDozza della loro Bologna e a beccarsi via Twitter con Salvini. Ironici, goliardici, con in più un occhio alla satira socio-politica; generazionali anche se la loro generazione l’impegno lo ha perso. Insomma, un curriculum che fa a pugni con il Festival. «Facciamo quelli a cui non frega nulla, ma la sera in cui hanno annunciato il cast eravamo incollati alla tv», dice Checco Draicchio. In passato chi è arrivato all’Ariston con un percorso simile al loro ha affrontato il processo dei fan della prima ora che si sono sentiti traditi. «Ci è arrivato qualche insulto, ma meno di quando abbiamo aperto il canale Vevo (la piattaforma di videoclip in mano a Sony, Universal e Google, ndr). È una manifestazione che rappresenta uno spaccato del Paese. È insolito vedere un nome come il nostro, in genere ci vanno personaggi storici o di provenienza talent, ma trattandosi di una gara fra canzonette possiamo metterci il naso», ammette Bobo. Non aspettiamoci di vederli in smoking: «Saremo più eleganti del solito, ma quello non lo mettiamo» promette Checco Draicchio.
La canzone, che uscirà in «Primati», una raccolta «differenziata» la definiscono loro, si chiama «Una vita in vacanza». Effetto tormentone dietro l’angolo con la cassa dritta da ballare e la melodia fresca. Tema: il lavoro. «Sin dalle origini, nelle nostre canzoni abbiamo parlato di sentimenti ma soprattutto di temi concreti. Cerchiamo di occupare tutti gli spazi possibili con lo stato sociale, quello vero non il nostro nome», spiega Albi Cazzola. Il testo fa un elenco di professioni — da quelle vere cameriere e assicuratore, Formato vacanza Da sinistra, Francesco Draicchio, Alberto Guidetti, Enrico Roberto, Alberto Cazzola e Lodovico Guenzi ad altre come figlio d’arte, blogger di moda, caso umano — e tutto gira attorno alla domanda se siamo qui a «vivere per lavorare o lavorare per vivere». «Il lavoro è una delle cose più belle della vita quando non ti accorgi che stai lavorando — spiega Lodo Guenzi —. Invece bisogna sempre convincersi di stare lavorando, anche a costo di inventarsi mestieri fantasma; fantastici, inesistenti fantasmagorie, nomi moderni per cose che non sono mai esistite. Eppure basterebbe lavorare di meno realizzandosi di più. Basterebbe anche avere tutti abbastanza da mangiare e da bere e rinunciare a un sacco di bisogni indotti per non avere il problema di lavorare per vivere... ma solo di lavorare per realizzarsi».