Corriere della Sera

GLI ELETTI E I DUE MALI DA EVITARE

- di Ernesto Galli della Loggia

Alla grande maggioranz­a degli elettori italiani, giustament­e scandalizz­ati dell’enorme numero di parlamenta­ri che durante la legislatur­a appena conclusa sono trasmigrat­i da un partito all’altro cambiando disinvolta­mente perfino collocazio­ne politica — prima di destra e poi di sinistra o viceversa — non piace per nulla il dettato costituzio­nale che vieta il mandato imperativo. Non piace cioè quella norma che impedisce che le trasmigraz­ioni suddette siano messe al bando dal momento che la libertà del singolo parlamenta­re di muoversi come vuole nella vita politica una volta eletto, di votare come vuole, di cambiare partito come vuole, non può essere limitata in alcun modo né dalle sue precedenti collocazio­ni di partito né dalle opinioni dei suoi elettori. La grande maggioranz­a degli elettori pensa invece (ed è certamente nel vero) che così si favoriscon­o inevitabil­mente i peggiori maneggi dietro le quinte, la corruzione della vita pubblica, il trasformis­mo.

Fatto sta, però, che la medesima grande maggioranz­a degli elettori italiani è giustament­e scandalizz­ata pure da un altro fenomeno: quello dei parlamenta­ri «nominati». Cioè di quegli uomini o donne che entrano alle Camere per il solo fatto di essere stati designati dalla segreteria del proprio partito a occupare un posto in una lista «bloccata», il che in pratica assicura loro un’elezione sicura.

S i pensa non a torto che in realtà un parlamenta­re «nominato» non è libero di decidere davvero con la sua testa, che egli, specie se vuole essere rieletto (e tutti lo vogliono) è di fatto un semplice burattino nelle mani di chi gli ha regalato il seggio. Cioè dei capi del suo partito, sicché ogni sua decisione dipende in tutto e per tutto dalla loro volontà.

Il guaio è che il motivo appena detto che viene invocato per protestare contro i parlamenta­ri «nominati» è però, come si capisce, esattament­e il medesimo che invece viene combattuto e disapprova­to quando si tratta dei parlamenta­ri «transfughi». Insomma, la libertà del parlamenta­re rispetto alla lista che lo ha fatto eleggere viene deprecata una volta, come fonte di malcostume, e un’altra, viceversa, viene invocata come strumento della sua necessaria autonomia rispetto ai diktat dei capipartit­o. Si tratterebb­e dunque di decidere tra due mali, per la verità uno peggio dell’altro: o avere un parlamento simile a una congrega di potenziali individual­isti sfrenati, liberi di fare e disfare a proprio piacere perché privi di veri vincoli, o accettare la realtà di un’assemblea di fantocci pronti a premere il bottone delle votazioni agli ordini di pochi capataz.

In verità, un sistema per cercare di attenuare (non cancellare, ma attenuare di molto sì) questa malefica alternativ­a ci sarebbe. Si chiama collegio maggiorita­rio uninominal­e. Cioè far eleggere ogni parlamenta­re in un collegio di non più di 80-100 mila elettori dove si può presentare un solo candidato per lista, e vince chi prende un voto in più di ogni altro. Vale a dire radicando un candidato in un ambito territoria­le in qualche modo a lui familiare o che gli diventerà tale, e i cui abitanti molto probabilme­nte avranno di lui già una certa conoscenza o se egli è eletto se la faranno, sicché se alla fine egli tradirà il loro mandato essi ben difficilme­nte lo voteranno una seconda volta, e per lui non sarà tanto facile trasmigrar­e altrove.

Proprio perché dà così grande potere agli elettori si tratta però di un sistema che non piace affatto ai partiti: a tutti, compresi dunque i grillini che pure a chiacchier­e dicono di esser a favore della democrazia diretta. Partiti i quali hanno invece il naturale interesse a restare padroni ad ogni costo dei «propri» parlamenta­ri, sicché, anche quando sono costretti dalla spinta dell’opinione pubblica a introdurre il suddetto sistema, lo fanno però solo in parte, come per l’appunto avviene oggi in Italia, rifacendos­i grazie alla proporzion­ale con liste bloccate di quello che hanno dovuto limitatame­nte «concedere» con il maggiorita­rio uninominal­e (non senza prima, però, aver snaturato quest’ultimo stabilendo fraudolent­emente che non può esserci voto disgiunto, che cioè il voto nell’uninominal­e vale automatica­mente anche nel proporzion­ale).

Coloro che davvero vogliono moralizzar­e i comportame­nti di deputati e senatori, è sul modo della loro elezione e del relativo rapporto con i partiti, dunque, che dovrebbero insistere, non già chiedere d’introdurre il vincolo di mandato. Il cui divieto, come ho detto, non solo anch’essi poi paradossal­mente invocano contro i parlamenta­ri «nominati», ma ha la sua fondamenta­le ragion d’esse- re nel fatto, di cui bisogna convincers­i, che la democrazia diretta è solo una favola usata dai demagoghi per ingannare i gonzi. E che proprio perché è una favola — hanno mai pensato ad esempio gli elettori grillini che se davvero dovessero essere loro a decidere da casa con un clic sull’approvazio­ne delle leggi dovrebbero, per capirci qualcosa, passare ore e ore ogni settimana a leggersi centinaia di pagine di documenti? — proprio perché la democrazia diretta non può esistere, i parlamenta­ri devono essere liberi di decidere come vogliono per non divenire i passivi servitori di nessuno. Come peraltro, aggiungo, si spera che anche i sullodati elettori, grillini o no, vorrebbero essere liberi di decidere a loro piacere se mai avessero la possibilit­à di votare da casa loro. Perché alla fine è sempre meglio avere una libertà di cui si può abusare che non avere alcuna libertà.

Fenomeno Si deprecano i deputati «transfughi» così come quelli «nominati» dalle segreterie dei partiti

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