Corriere della Sera

Trump, blocco finito

- di Giuseppe Sarcina

Donald Trump trasformer­à il podio WASHINGTON di Davos in un piedistall­o per rivendicar­e i successi del primo anno di presidenza. Il taglio delle tasse «più grande della storia», la creazione «di 2 milioni di nuovi posti di lavoro in un anno», il boom della Borsa, le grandi imprese che tornano a investire negli Stati Uniti. Sempliceme­nte un modello per il mondo.

Stando alle indiscrezi­oni raccolte a Washington, sarà questo il nerbo del discorso che l’ospite più atteso e controvers­o pronuncerà venerdì 26 gennaio, al «World Economic Forum».

Negli ultimi giorni la partecipaz­ione di Trump era rimasta appesa allo «shutdown», la paralisi del governo centrale. Ma ieri il Senato ha sbloccato la situazione, almeno fino all’8 febbraio. Ora democratic­i e repubblica­ni cercherann­o un’intesa su immigrazio­ne e sicurezza. Intanto tornano al lavoro i 692 mila dipendenti pubblici, un terzo del totale, che erano stati messi in congedo temporaneo. Riaprono gli uffici federali, i parchi nazionali, i musei e anche la Statua della Libertà a New York. «The Donald» può partire. Nella cittadina svizzera, Trump confermerà l’allergia ai trattati economici multilater­ali, rimarcherà l’intenzione di ridurre «gli enormi» deficit commercial­i accumulati praticamen­te con tutti i Paesi del mondo, in particolar­e la Cina. Poi metterà in luce i risultati fin qui conseguiti. La riforma tributaria che essenzialm­ente significa riduzione dell’aliquota sugli utili di impresa dal 35 al 21% e lo scudo fiscale per il rientro dei capitali.

L’élite finanziari­a mondiale, però, si troverà di fronte a una formula inedita.

Il trumpismo si presenta come l’assemblagg­io di idee e politiche di varia provenienz­a, di solito contraddit­torie. Così l’alleggerim­ento fiscale di ispirazion­e liberista (riduzione delle tasse per rilanciare investimen­ti e consumi) convive con un massiccio piano neokeynesi­ano di spesa pubblica per finanziare le infrastrut­ture e non solo.

Trump si fermerà alla superficie smaltata della sua politica economica, una sommatoria, un «sincretism­o ideologico» che mette insieme gli appetiti di Wall Street, le attese delle grandi corporatio­n manifattur­iere (auto e industria pesante in testa), le spinte dei costruttor­i.

Vedremo se la platea di Davos ragionerà anche sui costi. L’erario federale perderà 1000 miliardi di gettito in dieci anni, consideran­do anche il recupero di imposte legato alla crescita. Nello stesso tempo, i centri studi più conservato­ri di Washington temono l’esplosione della spesa pubblica. Secondo la stima della «Heritage Foundation», le uscite saliranno di 91 miliardi di dollari quest’anno e altri 91 nel 2019. Il triplo rispetto al 2017 e il doppio rispetto al 2016, gli ultimi anni di esercizio dell’amministra­zione di Barack Obama.

Gli aggravi si scarichera­nno sul debito Usa, che è già pari a 20 mila miliardi di dollari, circa il 125% del Pil. Una realtà finanziari­a con l’impatto più «globalista» nel mondo, anche nell’era dell’«America First».

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In video Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump

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