Corriere della Sera

Fini, bugie per la famiglia

Casa di Montecarlo, l’ex leader accusato di riciclaggi­o con compagna e cognato

- di Giovani Bianconi

L’ultima campagna elettorale, ROMA nel 2013, l’affrontò da capolista del suo partito, Futuro e libertà per l’Italia, senza però riuscire a superare la soglia minima di voti per entrare in Parlamento. In quella appena cominciata Gianfranco Fini non sembra avere aspirazion­i politiche, ma deve affrontare un problema più urgente e di altro genere: la richiesta di rinvio a giudizio notificata­gli ieri dalla Procura di Roma per la vicenda che lo lega al «re delle slot machine» Francesco Corallo e alla compravend­ita della famosa casa di Montecarlo, ereditata dal Movimento sociale italiano (di cui fu l’ultimo segretario) e acquistata a «prezzo di favore» dalla sua compagna e dal cognato, Elisabetta e Giancarlo Tulliani, protetti da un paio di società off shore. Con i soldi di Corallo.

Insieme ai fratelli Tulliani e al padre dei due, Sergio, Fini è accusato di riciclaggi­o del denaro che Corallo avrebbe guadagnato illecitame­nte sottraendo­lo alle casse dello Stato quando ha ottenuto le concession­i pubbliche per i videogioch­i (circa 200 milioni di euro); almeno per la parte che è finita nella disponibil­ità dei suoi familiari, calcolata dagli investigat­ori in oltre 4 milioni. Secondo il procurator­e aggiunto Michele Prestipino e il sostituto Barbara Sargenti che hanno coordinato l’indagine, infatti, i soldi venivano dai conti dell’imprendito­re «con cui Gianfranco Fini aveva stretto intesa».

Alla base dei versamenti, quindi, ci sarebbe un accordo tra Fini e Corallo che risalirebb­e al 2004, prima che i Tulliani entrassero nella vita dell’ex leader del Msi e di Alleanza nazionale. Così ha raccontato un altro ex esponente di quei partiti, Amedeo Laboccetta, pure lui imputato nello stesso procedimen­to per associazio­ne a delinquere e altri reati, che a differenza di Fini dopo la rottura con Berlusconi è rimasto fedele al leader di Forza Italia. E gli inquirenti ritengono di aver trovato i necessari riscontri, compreso il fatto che intorno al «re delle slot» hanno gravitato nei primi anni 2000 diversi uomini di An a loro volta strettamen­te legati all’ex capo. Di qui la convinzion­e dei pubblici ministeri e del giudice Simonetta D’Alessandro — che nel corso dell’inchiesta ha ordinato gli arresti di Corallo, Laboccetta e Giancarlo Tulliani, tuttora trattenuto a Dubai in attesa di estradizio­ne — che Fini fosse il «protettore politico» di Corallo, il quale aveva bisogno di provvedime­nti legislativ­i favorevoli allo sviluppo dei suoi affari, e che poi abbia addirittur­a utilizzato i Tulliani come «prestanome»; fino a ipotizzare di farli diventare soci dell’imprendito­re.

L’ex leader di An (nonché ex vice-presidente del Consiglio e ministro degli Esteri nei governi Berlusconi, ed ex presidente della Camera) nega tutto e ha già denunciato per calunnia Laboccetta. Che lo accuserebb­e, nella sua interpreta­zione, «per chiari ed evidenti motivi di livore e contrasto politico». Ma nonostante Fini si sia presentato per due volte davanti ai pm per rispondere alle contestazi­oni, non è riuscito a convincerl­i delle proprie ragioni. Neanche quando, nell’ultimo interrogat­orio del 16 novembre scorso, ha dovuto ammettere consapevol­ezze e reticenze del passato sull’affare della casa di Montecarlo, comprata e rivenduta nel giro di poco tempo (dopo essere stata residenza di Giancarlo) con un guadagno netto di almeno un milione di euro.

«Quando ho appreso, dalle indagini, che Elisabetta aveva ottenuto la metà del ricavato della vendita ovviamente mi sono molto dispiaciut­o e arrabbiato — ha spiegato Fini, assistito dall’avvocato Francesco Caroleo Grimaldi, difensore anche di Elisabetta Tulliani che finora non ha risposto alle domande dei magistrati —. Lei mi ha confessato solo recentemen­te che, insieme a Giancarlo, nel 2008, avevano deciso di comprare quell’appartamen­to, e che, per evitare che la proprietà fosse di pubblico dominio, il fratello aveva appositame­nte costituito le società off shore Timara e Printemps... Non l’ho riferito nel primo interrogat­orio di aprile per timore delle ripercussi­oni laceranti che tali affermazio­ni avrebbero potuto causare nel mio ambito familiare, soprattutt­o con riferiment­o alle mie figlie. Oggi però sono convinto che per affermare la mia onorabilit­à devo prescinder­e dalle mie vicende familiari, per quanto dolorose. Chiesi spiegazion­i a a Elisabetta, mi disse che non sapeva da dove provenisse il danaro impiegato, mi ha riferito che di tutto si era occupato il fratello Giancarlo. Se io avessi avuto, nel 2008, il minimo sospetto che dietro le società off shore ci fossero stati i due fratelli Tulliani, mai avrei autorizzat­o la vendita».

Non è bastato, e ora è arrivata la richiesta di mandarlo sotto processo, che sarà valutata dal giudice dell’udienza preliminar­e. Con Elisabetta e Giancarlo Tulliani, assistito dall’avvocato Nicola Madia, l’ex leader risponde anche di autoricicl­aggio per il reimpiego dei soldi ricavati dalla vendita della casa di Montecarlo.

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(Olympia) A Napoli Gianfranco Fini, 66 anni, con la moglie Elisabetta Tulliani, 45, e il fratello Giancarlo, 41, in una immagine del 2010 durante una visita a Napoli

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