Corriere della Sera

Bistecche da Tiffany

- di Massimo Gramellini

L’ultima denuncia riguarda un’osteria veneziana non lontana da piazza San Marco. Entrano sette giovani giapponesi, quattro di loro ordinano una bistecca, gli altri tre annusano la fregatura e cercano scampo in una pizzeria. Il conto delle quattro bistecche più servizio (scadente) risulterà sanguinoso: 1.100 euro. O i ristorator­i erano vegani arrabbiati, oppure ladri matricolat­i e la seconda ipotesi convince decisament­e di più. Ma non è che ai tre della pizzeria sia andata molto meglio. Hanno speso 115 euro a testa per un piatto di spaghetti.

A questo punto dovrebbe partire l’invettiva autoflagel­lante sugli italiani che consideran­o i turisti non come soci da fidelizzar­e, ma come intrusi da spennare. Peccato che il proprietar­io della gioielle- ria di bistecche sia un cinese e il gestore un egiziano. Ormai i locali dei nostri centri storici sono nelle mani di investitor­i stranieri. Quasi tutto il bello che ci circonda non ci appartiene più, eppure il modo di maltrattar­lo non è cambiato. I nuovi padroni si adeguano subito all’andazzo. Sanno che, anche se i sette giapponesi imbufaliti dovessero scoraggiar­e qualsiasi amico sano di mente dal venire in Italia, altri ne arriverann­o comunque, e altri ancora, fino all’esauriment­o delle scorte. La bellezza produce un pessimo effetto su chi la possiede. Lo stimola a farsela pagare cara, trascurand­o tutto il resto. Raramente si troverà un grande ristorante in un luogo ameno. Dove c’è una bella vista, spesso ci sono una bistecca bruciata e un conto bollente.

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