Bistecche da Tiffany
L’ultima denuncia riguarda un’osteria veneziana non lontana da piazza San Marco. Entrano sette giovani giapponesi, quattro di loro ordinano una bistecca, gli altri tre annusano la fregatura e cercano scampo in una pizzeria. Il conto delle quattro bistecche più servizio (scadente) risulterà sanguinoso: 1.100 euro. O i ristoratori erano vegani arrabbiati, oppure ladri matricolati e la seconda ipotesi convince decisamente di più. Ma non è che ai tre della pizzeria sia andata molto meglio. Hanno speso 115 euro a testa per un piatto di spaghetti.
A questo punto dovrebbe partire l’invettiva autoflagellante sugli italiani che considerano i turisti non come soci da fidelizzare, ma come intrusi da spennare. Peccato che il proprietario della gioielle- ria di bistecche sia un cinese e il gestore un egiziano. Ormai i locali dei nostri centri storici sono nelle mani di investitori stranieri. Quasi tutto il bello che ci circonda non ci appartiene più, eppure il modo di maltrattarlo non è cambiato. I nuovi padroni si adeguano subito all’andazzo. Sanno che, anche se i sette giapponesi imbufaliti dovessero scoraggiare qualsiasi amico sano di mente dal venire in Italia, altri ne arriveranno comunque, e altri ancora, fino all’esaurimento delle scorte. La bellezza produce un pessimo effetto su chi la possiede. Lo stimola a farsela pagare cara, trascurando tutto il resto. Raramente si troverà un grande ristorante in un luogo ameno. Dove c’è una bella vista, spesso ci sono una bistecca bruciata e un conto bollente.