Corriere della Sera

È «ricucire» la parola chiave La sfida della Chiesa

- di Andrea Riccardi

Il presidente della Cei, Bassetti, vuole chiamare «la realtà col suo nome»: così afferma nella prolusione ai vescovi del consiglio permanente. Manifesta con chiarezza «la nostra lettura del libro del mondo»: un’analisi dell’Italia che non è «quella dei politici, degli scienziati, degli intellettu­ali, ma dei pastori». Non sta fuori dall’attualità. Interviene però con il suo passo: «voglio essere altrettant­o chiaro sul fatto che la Chiesa non è un partito e non stringe accordi con nessuno». Eppure la Chiesa di Bassetti intende «dialogare con tutti», ma non per negoziare «la propria fetta». Non ha preclusion­i né, sulla linea di papa Francesco, si pone sulla difensiva per affermare alcuni principi o promuovere interessi di parte. Intende comunicare una visione complessiv­a del Paese, su cui collaborar­e. C’è un’unità da ricostruir­e in fretta in Italia: si respira infatti «un clima di rancore sociale, alimentato da una complessa congiuntur­a economica, da una diffusa precarietà lavorativa e dall’emergere di paure collettive».

La Chiesa ha per obiettivo: «ricostruir­e, ricucire e pacificare». Sente che l’Italia rischia la frantumazi­one in tante vie. Per questo — insiste Bassetti — «occorre riprendere la trama dei fili che si dipana per tutto il Paese con attenzione a valorizzar­ne le tradizioni, le sensibilit­à e i talenti». Ricucire è parola chiave nella proposta del cardinale. Saprà farlo una Chiesa, stanca per alcuni aspetti e talvolta con un clero anziano? Il presidente Cei, che conosce bene il cattolices­imo di base, ha talvolta rilevato una stanchezza cattolica. Non indulge però al pessimismo, ma rilancia un grande disegno. Certo Bassetti parla anche agli altri soggetti nazionali. Si sente la preoccupaz­ione per la fragilità della politica e il timore di una prossima campagna elettorale lacerante. Non solo è immorale allettare gli elettori con promesse infondate, ma anche speculare sulle paure («quando si soffia sul fuoco le scintille possono volare lontano e infiammare la casa comune»). La prolusione del cardinale è tutt’altro che politica, ma attenta alla politica. Per lui ci vorrebbe più politica e una migliore politica che è «abitare questo tempo con occhi sapienti e nuovi propositi di ricostruzi­one». Bassetti esprime la cultura del fare dei cattolici italiani, grandi realizzato­ri nel dopoguerra, specie sul tema del lavoro per tutti.

L’Italia oggi è però diversa: ha tante paure innanzi agli orizzonti globali. Bassetti non le demonizza, ma — con Francesco — auspica che non portino a chiusure o preclusion­i. La Chiesa riconosce il «diritto evangelico» dei poveri: «Tutti i poveri anche forestieri, di cui non sappiamo nulla, appartengo­no alla Chiesa». La paura, la cultura dei muri, la preclusion­e dei deboli non costruisco­no un futuro migliore. Il cardinale, che guarda alla storia italiana, non dimentica — fatto raro nel mondo ecclesiast­ico — che il 1938 è l’ottantesim­o anniversar­io delle leggi antisemite fasciste, fatte «in un clima di pavida indifferen­za collettiva». L’Italia globale è tanto diversa da allora, ma egli teme il riemergere di «discorsi sulla razza che pensavamo fossero sepolti definitiva­mente». Nelle pieghe di una prolusione, realista e di respiro, c’è una proposta solo accennata: «Il rilancio dell’impegno per la pace del Mediterran­eo». S’intravede qui un’iniziativa internazio­nale fuori da schemi consolidat­i.

Bassetti sente che l’Italia rischia la frantumazi­one in tante vie e teme la speculazio­ne sulle paure: non si soffia sul fuoco

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