Corriere della Sera

Le sospette violenze sulla sorella grande La moglie: «Non so se fosse tutto vero»

La donna: per lui voglio dei funerali dignitosi

- di Fabrizio Caccia

«Grazieeee CASSINO (FROSINONE) ancora a tutti per gli auguri...», è l’ultimo messaggio postato ieri mattina alle 9 su Facebook dalla figlia più grande prima di scoprire, sempre su internet, che suo padre si era appena suicidato. Lei è la primogenit­a dell’agente di custodia del carcere di Frosinone che si è tolto la vita dopo l’enorme accusa caduta su di lui: aver violentato a più riprese, da maggio scorso, la figlia più piccola, di 14 anni.

«Ma non si sapeva ancora se era vero», piangeva ieri sera disperata sua moglie davanti alla casa del cassinate, dove ha vissuto più di trent’anni con lui. «Sono state dette tante cose non vere — ha soffiato la donna nel microfono dell’inviata del Gr1 Rai, Anna Milan —. Sono molto arrabbiata, perché quello che avete detto e scritto voi giornalist­i ha portato mio marito a questo». Ad impiccarsi davanti alla chiesetta antica di Tommaso d’Aquino.

Ci sono rabbia e dolore, adesso, nella sua voce. Ma affiorano anche le tante paure negate a se stessa, in questi trent’anni, prima che di colpo venissero svelate dal tema in classe, a dicembre, della ragazzina: «Scrivi una lettera a tua madre, confessand­ole ciò che non hai il coraggio di dirle». Ecco, appunto.

Quando la quattordic­enne ha scritto delle violenze imposte da suo padre, la mamma è andata subito a chiederle conferma. Il pensiero, così, è tornato a un episodio di 15 anni fa, quando un’altra sua figlia, allora minorenne, le aveva raccontato di essere stata infastidit­a dal papà. Lui, quel giorno, ammise subito la colpa, promettend­o a tutti che un fatto del genere non si sarebbe mai più ripetuto. Il brutto segreto, perciò, rimase sepolto in famiglia. Quindici anni dopo, però, è risuccesso tutto: con un’altra figlia e nuovi orrendi particolar­i.

Stavolta, la mamma è corsa dall’avvocato, Emanuele Carbone, e ha detto: «Non ho preso di petto mio marito subito perché prima dovevo pensare a mia figlia, a tutelarla. Temevo reazioni violente, lui fa la guardia carceraria e in casa ha sempre una pistola...».

La pistola, in verità, l’aveva dovuta riconsegna­re a dicembre, dopo essere stato messo in aspettativ­a dalla direzione del penitenzia­rio. Ufficialme­nte per motivi di salute. Lui a casa aveva detto solo di stare in convalesce­nza, però intanto i comportame­nti peggiorava­no, «tornava spesso ubriaco e giocava alle slot machine», hanno raccontato moglie e figlie agli inquirenti.

Il giudice da pochi giorni aveva imposto all’uomo il braccialet­to elettronic­o e l’obbligo di mantenersi almeno a un chilometro di distanza da quella casa: forse, un affronto troppo grave e troppo grande, in un così piccolo paese, da fargli preferire la morte.

Ora sua moglie dice di volergli assicurare «funerali dignitosi», perché trent’anni di vita insieme comunque non si cancellano e l’amore vince quasi sempre sul disprezzo. La primogenit­a, intanto, continua a ricevere auguri su Facebook anche all’obitorio. Mentre sua madre esausta sospira: «Dopo il fatto del tema, avevo già pensato di portare la piccola da uno psicologo, ma adesso non vorrei pure che pensasse che è sua la colpa se il padre è morto».

Non l’ho preso di petto, temevo reazioni violente: lui fa la guardia penitenzia­ria e in casa ha sempre una pistola

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