Corriere della Sera

Una morte che la ragazza ora rischia di non perdonarsi

- di Silvia Vegetti Finzi

Di solito ci rassicura pensare che gli accadiment­i più sconvolgen­ti si svolgano sulle scene del teatro classico. Ma accade che la rappresent­azione scenda tra di noi investendo persone a noi prossime nello spazio e nel tempo. Difficile allora estraniars­i da eventi che ci coinvolgon­o e ci interrogan­o. Tanto più quando il dramma accade nella famiglia, che Aristotele definiva: «il luogo delle passioni». I personaggi ci sono tutti: il padre orco, la madre che per salvaguard­are la famiglia sottovalut­a il pericolo che minaccia

I traumi La violenza inquina vittime e carnefici La scuola ha giocato un ruolo positivo

la figlia, la solitudine e il dolore della ragazzina che tace avendo introietta­to il comando patriarcal­e: mai devi dire. E infine, ultimo atto, il suicidio del padre che può significar­e due cose: sottrarsi alla condanna morale, punirsi per il reato commesso, o entrambe. Si può provare pietà per un uomo incapace di controllar­e impulsi così violenti, forse più malato che malvagio, ma in ogni caso la vittima chiede, e merita, verità e giustizia. Solo un’obiettiva ricostruzi­one dei fatti può restituirl­e l’innocenza perduta per tante, contraddit­torie motivazion­i: per il corpo violato, il coinvolgim­ento emotivo provato, la perdita della fiducia di base e per di più, in questo caso, l’aver trasgredit­o all’ordine della madre di non restare mai sola col padre e infine la morte che si è inferto quest’ultimo. Una morte che la famiglia non le perdonerà mai e che lei stessa non si perdonerà perché la violenza, come un miasma, inquina vittime e carnefici. Dall’angoscia dilagante si salva la scuola, un’alternativ­a alla famiglia capace di comprender­e il grido di dolore e la richiesta di aiuto emergenti da un foglio protocollo, quando a riceverlo vi è una insegnante sensibile e responsabi­le.

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