Una morte che la ragazza ora rischia di non perdonarsi
Di solito ci rassicura pensare che gli accadimenti più sconvolgenti si svolgano sulle scene del teatro classico. Ma accade che la rappresentazione scenda tra di noi investendo persone a noi prossime nello spazio e nel tempo. Difficile allora estraniarsi da eventi che ci coinvolgono e ci interrogano. Tanto più quando il dramma accade nella famiglia, che Aristotele definiva: «il luogo delle passioni». I personaggi ci sono tutti: il padre orco, la madre che per salvaguardare la famiglia sottovaluta il pericolo che minaccia
I traumi La violenza inquina vittime e carnefici La scuola ha giocato un ruolo positivo
la figlia, la solitudine e il dolore della ragazzina che tace avendo introiettato il comando patriarcale: mai devi dire. E infine, ultimo atto, il suicidio del padre che può significare due cose: sottrarsi alla condanna morale, punirsi per il reato commesso, o entrambe. Si può provare pietà per un uomo incapace di controllare impulsi così violenti, forse più malato che malvagio, ma in ogni caso la vittima chiede, e merita, verità e giustizia. Solo un’obiettiva ricostruzione dei fatti può restituirle l’innocenza perduta per tante, contraddittorie motivazioni: per il corpo violato, il coinvolgimento emotivo provato, la perdita della fiducia di base e per di più, in questo caso, l’aver trasgredito all’ordine della madre di non restare mai sola col padre e infine la morte che si è inferto quest’ultimo. Una morte che la famiglia non le perdonerà mai e che lei stessa non si perdonerà perché la violenza, come un miasma, inquina vittime e carnefici. Dall’angoscia dilagante si salva la scuola, un’alternativa alla famiglia capace di comprendere il grido di dolore e la richiesta di aiuto emergenti da un foglio protocollo, quando a riceverlo vi è una insegnante sensibile e responsabile.