Kounellis e gli altri all’«Attico», storia di una galleria corsara
Il 25 novembre scorso, giorno esatto in cui la galleria romana l’Attico — fondata dal padre Bruno nel 1957 in piazza di Spagna e ancora in attività — compiva sessanta anni, Fabio Sargentini, classe 1939, aveva dato l’annuncio della donazione dell’archivio di famiglia alla Galleria nazionale d’arte moderna.
Ieri invece, con i primi 80 faldoni che hanno già raggiunto le sale di Valle Giulia, nel Salone
Centrale dello stesso museo si è tenuta l’inaugurazione di una mostra che intende celebrare sia il recente anniversario, sia le vicende di uno dei luoghi-crocevia della cultura artistica italiana del secondo Novecento. A sorpresa però, Sargentini ha deciso di puntare stavolta sulla storia recente dell’Attico e non sui gloriosi anni Sessanta-Settanta. Quelli in cui lui, dopo essersi separato dal padre, decise di trasferire la galleria d’arte dall’appartamento di piazza di Spagna in uno spazio espositivo radicalmente nuovo per i tempi, il garage di via Cesare Beccaria, quartiere Flaminio. Un ambiente sotterraneo che inaugurò l’attività con una mostra oggi in odore di culto: 14 gennaio 1969, dodici cavalli vivi, opera-intervento firmata Jannis Kounellis.
«Rassegne sull’Attico di quegli anni sono già state fatte — ha spiegato Sargentini (la prima e più importante nel 2010 nel museo Macro, al tempo diretto da Luca Massimo Barbero) — per cui stavolta ho preferito puntare, in particolare, sulla attività degli anni Ottanta e sulla riscoperta della pittura».
Titolo scelto per la collettiva — con quaranta opere, quasi tutte di grande formato, dispiegate senza soluzione di continuità lungo le quattro pareti del Salone — Scorribanda: «Ne ho scelto uno che rispecchiasse lo spirito d’avventura che mi ha sempre animato nella conduzione — spiega il gallerista — un titolo con un che di piratesco, di corsaro, che ben si attaglia alla disposizione delle opere sulla parete, pensata come un racconto senza pause. L’idea si basa sull’annullamento della canonica distanza tra quadro e quadro. Lo sguardo non viene così a cadere necessariamente su una singola opera ma su una pluralità».
Artisti apparentemente contraddittori e inconciliabili vengono dunque riuniti in quest’unica installazione, sorta di gigantesco abbraccio interrotto soltanto, al centro dell’ambiente, da due sculture. Per i nomi esposti, da citare innanzitutto gli storici alfieri della galleria, Pino Pascali e Kounellis, insieme all’Attico già in quella collettiva di mezzo secolo fa — Fuoco, Immagine, Acqua, Terra, 8 giugno 1967 — che per Sargentini, ieri ci ha tenuto a ribadirlo, segnò il vero atto di nascita di un’arte composta con materiali poveri. Poi ci sono altri nomi storicizzati — Eliseo Mattiacci, Luigi Ontani, Luca Patella, Hidetoshi Nagasawa, Vasco Bendini, Piero Pizzi Cannella, Nunzio o Stefano Di Stasio — e infine i più giovani, protagonisti delle ultime esposizioni nel terzo spazio targato Sargentini, ancora in attività in via del Paradiso.
Commovente il piccolo ma significativo omaggio del figlio, Fabio, al padre, Bruno: un angolo della mostra in cui si vedono tre quadri — Fiori secchi di Mario Mafai, 1938, e due piccole opere di Giovanni Stradone dei primi anni Quaranta — a testimoniare gusto e passioni del fondatore.