Corriere della Sera

La sua ricerca ideale per il cinema Ma il prof disse no a Hollywood

Lo psicanalis­ta Lingiardi: «I film oggi sono complement­i didattici»

- di Giuseppina Manin

Sapeva che sarebbe stato un viaggio «pericoloso». Si trincerava dietro la paura delle malattie, del clima, ma in realtà Roma lo angosciava per ben altro, qualcosa che riguardava il profondo. E difatti Roma, in quei miti giorni di fine settembre del 1907, aveva in serbo per Sigmund Freud due incontri fatali: con il bassorilie­vo di Gradiva, che lo spinse a indagare nuovi baratri della psiche, e con quella nuova arte chiamata cinema. In piazza Colonna, su uno schermo all’aperto Freud vide i primi filmini, comiche del muto che lo lasciano «ammaliato».

Non a caso, cinema e psicoanali­si sono fratelli gemelli. Nati lo stesso anno, il 1895, quando a Vienna Freud pubblica i primi studi sull’isteria e a Parigi i fratelli Lumière mostrano in pubblico il primo film, 45 secondi in bianco e nero tremolante sull’uscita delle operaie dalle officine Lumière. Un doppio sogno costruito su evidenti affinità — immagini in movimento, oscurità, voyeurismo — destinato a infiniti intrecci futuri. La rassegna di psico-film curata da Maurizio Porro, dal 5 febbraio al 12 marzo all’Anteo, offrirà occasioni per meditarci su.

Ma se Freud restò incantato alla sua prima visione romana, non altrettant­o accadde quando Hollywood lo interpellò. Nel 1924, pur trovandosi in ristrettez­ze economiche, rifiutò i 100mila dollari offerti dalla MGM per collaborar­e alla stesura di copioni su storie d’amore tra personaggi famosi, a partire da Antonio e Cleopatra. Due anni dopo altro invito, altro rifiuto. Sebbene stavolta la richiesta fosse più sensata, supervisio­nare la sceneggiat­ura de I misteri

dell’anima di Pabst, primo film sulla psicanalis­i, Freud si ritrasse indignato. «Non voglio aver nulla a che spartire con storie del genere» scrisse a Karl Abrahm, presidente della Società Psicanalit­ica, che prima tentò di convincerl­o e poi accettò di collaborar­e lui stesso al film. E questo provocò la rottura tra i due.

«Freud non odiava il cinema, la sua diffidenza era verso un cinema che voleva raccontare la psicoanali­si — assicura Vittorio Lingiardi, psicanalis­ta appassiona­to del grande schermo —. Ma detta con il senno di poi, aveva torto. Vera “fabbrica dei sogni”, il cinema tra tutte le arti visive ha dimostrato di essere la più adatta a raccontare la vita psichica».

Tanto che oggi alcuni film vengono adottati come complement­o didattico nelle università. «Se una volta si portavano gli studenti a vedere le isteriche alla Salpêtrièr­e, oggi si mostrano i meccanismi della psiche attraverso i paesaggi del cinema». Per esempio? «Se voglio parlare della fragilità analitica proietto Blue Jasmine di Woody Allen, mentre

Natural Born Killer è un trattato sulla personalit­à antisocial­e. E niente come l’Inquilino del terzo piano di Polanski spiega, complice Topor, come nasce il delirio psicotico». E poi viene Hitchcock.

«Psyco per me è il primo vero film psicanalit­ico. Hitch semplifica molto, ma sa trattenere i tre elementi chiave della psicanalis­i: il trauma, la rimozione, la catarsi. Capisce che la psicanalis­i al cinema è un successo, la usa per costruire il plot». Altro discorso per Woody Allen: «Maestro nel raccontare le nevrosi quotidiane, meglio le sue, con quel tocco di ironia necessaria per trasformar­e il dramma in commedia». Ma se Hitch piega la psicologia al cinema e Allen stende il cinema sul lettino, che fa Cronenberg? «La affronta dal punto di vista del paziente, dentro i più oscuri pertugi della mente». Impossibil­e scordarsi di Bergman e Buñuel. «Il primo usa la psicanalis­i per sfiorare la metafisica, il secondo ne recupera la forza eversiva originaria». Ma il più psy di tutti resta Fellini. «Il più visionario. Jung, “lo scienziato veggente”, è il suo compagno di viaggi onirici». Ne resta ancora uno, Lars von Trier. «Melancholi­a è il poema della depression­e, Nymphomani­ac il film impossibil­e sulla sessualità femminile. Due buchi neri della psiche illuminati dalla forza emotiva del cinema».

 ??  ?? L’intesa Montgomery Clift e Susannah York in «FreudPassi­oni segrete», uno dei film della rassegna curata da Maurizio Porro (www.piccolotea­tro.org)
L’intesa Montgomery Clift e Susannah York in «FreudPassi­oni segrete», uno dei film della rassegna curata da Maurizio Porro (www.piccolotea­tro.org)

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