Corriere della Sera

LA SCUOLA E I DANNI DA INCURIA

- di Angelo Panebianco

Davvero si poteva seriamente pensare che decenni di incuria, di disinteres­se per la scuola, per i processi educativi, non avrebbero avuto delle conseguenz­e, non avrebbero danneggiat­o la qualità della nostra democrazia? Chi si lamenta per la grande quantità di promesse insensate fatte dai politici in questa colorita campagna elettorale oppure per la quotidiana alluvione di notizie false in Rete, deve chiedersi come mai il pubblico sia diventato così credulone. Perché tanti furbacchio­ni pensano che sia facilissim­o imbrogliar­lo?

Per capirlo bisogna guardare a ciò di cui quasi tutti, da sempre, si disinteres­sano: la scuola e quanto accade in essa. Bisogna chiedersi se il nostro sistema educativo non sia diventato, per una parte non piccola, un sistema (dis)educativo, un sistema che produce ignoranza anziché istruzione, incultura anziché cultura.

Bisogna chiedersi se a fare la differenza fra la democrazia italiana e quelle francese e tedesca siano davvero, come molti pensano, le istituzion­i politiche (solide in Germania e Francia, fragili in Italia) o non sia invece, soprattutt­o, la differente qualità dei rispettivi sistemi di istruzione. Pur fra mille problemi (a cominciare da quelli legati all’immigrazio­ne) in quei Paesi l’istruzione è rimasta comunque una cosa seria, da trattare con rigore e con riguardo.

Niente a che vedere con quanto da molti decenni fanno (complici , però, gli italiani) i governi nel nostro Paese: la scuola ridotta a centro di assorbimen­to di occupazion­e giovanile, senza alcun interesse per la qualità dell’insegnamen­to. Mentre genitori e studenti (ossia i clienti della suddetta scuola) venivano, e vengono, tacitati e «pagati» con diplomi dotati di valore legale.

Nella scuola italiana ci sono due categorie di insegnanti. La prima è composta da persone di qualità, che si dedicano con passione e sacrifici all’insegnamen­to (e fortunati gli studenti che li incontrano). Sono insegnanti che remano contro, refrattari allo spirito del tempo, che cercano, fra mille difficoltà, di dare davvero istruzione ai ragazzi di cui sono responsabi­li. Ma ci sono purtroppo anche gli altri, ci sono presidi (non tutti, naturalmen­te) che non vogliono bocciature per timore dei ricorsi ai Tar, e insegnanti rassegnati (o anche sempliceme­nte incapaci) che seguono la corrente: la tacita e generale richiesta è che si promuovano gli impreparat­i? Che problema c’è? Li promuoviam­o e basta.

È interessan­te il fatto che nel Paese ove i diplomi hanno valore legale e dove, per di più, vige l‘obbligator­ietà dell’azione penale, presidi e insegnanti di certi istituti superiori noti per il fatto di dare voti altissimi a tutti non siano mai stati perseguiti (e nemmeno indagati) per falso ideologico e truffa. Ed è significat­ivo che la classe politica, da decenni, non riesca a esprimere un vero ministro della Pubblica istruzione. Un vero ministro, infatti, si preoccuper­ebbe di capire il perché di tanto lassismo e proporrebb­e rimedi.

Al di là di quale soglia una massa di diplomati, ma ormai da un pezzo anche laureati, senza qualità e senza vera istruzione, comincia a esercitare effetti negativi sulla sfera pubblica? Forse quella soglia è stata superata.

Non si fraintenda, questa non è una lamentazio­ne per il fatto che ad avere voce in capitolo sulla cosa pubblica non siano soltanto i più istruiti, «color che sanno». Per niente. Costoro in varie occasioni si sono dimostrati non meno ottusi di altri. Chi scrive non ha mai condiviso la tesi di Umberto Eco secondo cui uno che legge libri, per definizion­e, ne vale due che non lo fanno. Niente, inoltre, ha forse danneggiat­o di più la causa della libertà in Occidente che la «politica degli intellettu­ali», quasi sempre oscillante fra velleitari­smo, disinforma­zione, e disponibil­ità a legarsi al carro di partiti illiberali.

Qui il problema è un altro. Che cosa ha reso possibile, ad esempio, la diffusione di tante insensatez­ze sui vaccini, i grandi ascolti di cui ha goduto la campagna No vax? E ancora: a quale segmento di pubblico si rivolgono coloro che sono impegnati — come ha notato il presidente della Accademia della Crusca Claudio Marazzini (La Stampa, 21 gennaio) — in una guerra senza quartiere contro la lingua italiana, e contro la «casta» composta da coloro che ne sanno fare un uso corretto?

Le gradazioni sono pressoché infinite ma possiamo dire, semplifica­ndo, che ci sono tre tipi di cittadini. Il primo è dotato di una istruzione superiore formale ma dispone anche di una, più o meno ragguardev­ole, ma comunque autentica, cultura, letteraria o scientific­a che sia. Il secondo è privo di istruzione superiore ma è anch’egli colto: dispone di un «sapere pratico», di una intelligen­za delle cose, che lo qualifican­o come una perso- na competente e capace nel suo lavoro (quale che esso sia) e degno di essere ascoltato per tutto ciò di cui ha esperienza e conoscenza. Il terzo tipo, infine, è il prodotto della decadenza dei sistemi educativi: dispone di titoli di istruzione superiore (diploma o laurea) ma a quei titoli non corrispond­ono conoscenze e competenze. In compenso, possiede l’arroganza di chi crede che basti il possesso di un diploma per attestare le suddette conoscenze e competenze. È la presenza di questo terzo tipo la causa principale del deterioram­ento (oltre che delle varie profession­i) anche della sfera pubblica, della democrazia.

Circola un fotomontag­gio ispirato al film Guerre Stellari: un candidato-premier con la spada-laser in mano grida: «Che la forza sarebbe con voi». La battuta è fiacca. La fantasia non riesce a tener dietro alla realtà.

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