Corriere della Sera

Compensi super L’ira dei vescovi

Stipendio di 146 mila euro l’anno, 10 volte il reddito medio nell’isola

- di Gian Antonio Stella

Gli ultimi a indignarsi sono stati i vescovi. I dipendenti della Regione Siciliana sono pagati in media il doppio di quelli della Casa Bianca.

Sono contro al taglio degli stipendi alti, non tutti i lavori sono uguali Micciché

Le fasce più povere non riescono a guadagnare quei soldi in una vita Mogavero

«Farebbero bene a informarsi prima di lanciare accuse generiche alla politica», ha detto il presidente dell’Ars Gianfranco Micciché, furente coi vescovi isolani rei d’aver denunciato l’abisso tra la povertà di tanti siciliani e l’opulenza dei loro burocrati. E meno male che non erano informati dei dettagli: cosa diranno scoprendo che i dipendenti del palazzo dei Normanni sono pagati in media il doppio di quelli della Casa Bianca?

C’è chi sbufferà: uffa, sono realtà diverse! Non paragonabi­li. Giusto. A partire dalle due società messe a confronto. Di là gli statuniten­si, con un Pil pro capite nel 2016 di 57.466 dollari pari a 46.879 euro, di qua i siciliani (dati Mef) con 15.305: meno di un terzo. Con larghe sacche di indigenza. Basti dire che gli isolani a rischio di povertà sono il 55,4% della popolazion­e. Dieci punti sopra la media del Mezzogiorn­o (46,4%), trenta sopra quella del Centro (24%) e quasi quaranta sopra quella del Nord (17,4%).

Ed è lì che le differenze, stando ai bilanci ufficiali, diventano sproposita­te. Se un dipendente della White House guadagna mediamente 89.000 dollari l’anno (72.497 euro al cambio di oggi) cioè solo il 35% in più del reddito d’un americano medio, il suo collega all’Assemblea regionale siciliana di euro ne incassa in media 146.500. Che come dicevamo non soltanto è il doppio di quanto Donald Trump paghi mediamente i suoi collaborat­ori ma il decuplo del reddito pro capite (14.174) di un siciliano delle province più povere come Enna o Agrigento. Il decuplo!

In tutta sincerità: è normale? C’è poi da stupirsi se i vescovi, letta la prima dichiarazi­one d’intenti di Micciché («Sono assolutame­nte contrario al taglio degli stipendi alti. Da tempo il mondo ha dichiarato fallito il marxismo: non tutti gli stipendi possono essere uguali, non tutto il lavoro è uguale»), sono saltati su indignati? C’è da stupirsi se, indifferen­ti alle raccomanda­zioni politiche («c’è la campagna elettorale!») hanno denunciato «la distanza tra il sentire della nostra gente e le prospettiv­e di chi è interessat­o a salvaguard­are i privilegi economici di pochi burocrati, a discapito di chi non ha un livello di vita dignitoso»? E se il vescovo di Mazara del Vallo Domenico Mogavero, assai ascoltato nella conferenza episcopale, ha rincarato la dose dicendo al Giornale di Sicilia che «la gente è stanca di sapere che ci sono fasce elitarie e privilegia­te che guadagnano in un anno quanto fasce più povere non arrivano a guadagnare in una vita»?

I numeri, come ha spiegato Giacinto Pipitone sullo stesso quotidiano, bilancio alla mano, non lasciano dubbi. Saltato con la fine del 2017 il tetto dei 240 mila euro per i funzionari più pagati, tetto che lo stesso Micciché sta cercando ora di ripristina­re, «ci sono dirigenti che, in attesa dei nuovi tagli, sono già passati a stipendi che raggiungon­o i 350 mila euro circa». Ventiquatt­ro volte più di un agrigentin­o...

Ridotto da decine di prepension­amenti e pensioname­nti a 180 dipendenti di ruolo, il personale del Palazzo dei Normanni, scrive Pipitone, pesa sul bilancio dell’Ars per 26.370.000 euro. Poco meno di quanto pesino su quello della Casa Bianca le 377 persone che mandano avanti quello che è considerat­o il palazzo del potere per eccellenza: 30.628.312 euro. A parte il costo folle dei vitalizi ai dipendenti in pensione (51 milioni, per un totale di quasi 77 milioni di euro!) occorre però aggiungere ulteriori esborsi per chi di ruolo non è.

E cioè 5.130.000 euro alla voce «contributi ai gruppi per il relativo personale» (la metà degli 11 milioni e 800 mila euro spesi all’anno per tutti i 220 dipendenti del Consiglio regionale Veneto, compresi gli addetti ai gruppi) che vanno a un’ottantina di collaborat­ori accumulati negli anni e non ancora di ruolo ma quasi: «stabilizza­ti» in attesa dell’ultima infornata definitiva.

Non bastassero, sta venendo fuori il solito diavoletto contenuto nei dettagli di quella che doveva essere la grande riforma della burocrazia siciliana varata nel 2014. Quando fu deciso che, per evitare il consueto carnaio di portaborse sottopagat­i e magari assunti come fossero domestici

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