Corriere della Sera

Il nuovo protezioni­smo

Dalle regole sul commercio al prelievo aggiuntivo al 50% sui beni provenient­i da Pechino. Ecco perché la Casa Bianca ha deciso la via delle imposte sugli scambi

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Giuseppe Sarcina

Donald Trump va allo scontro commercial­e con la Cina. E comincia dai pannelli solari. Dazi per quattro anni sull’ importazio­ne negli Stati Uniti: all’inizio il prelievo sarà pari al 30% del valore; poi andrà a scalare fino al 15%. Dopo tanti slogan e proclami, ecco i primi fatti: il protezioni­smo americano si materializ­za proprio nel giorno di apertura del World Economic Forum di Davos. Una provocazio­ne premeditat­a? Forse. Il governo americano, però, ci stava lavorando da tempo. Il 18 dicembre 2017 il presidente aveva presentato il documento sulla «Nuova strategia per la sicurezza nazionale»: la Cina guidava la lista degli «avversari economici». Il 17 gennaio 2018, in un’intervista con

Trump aveva annunciato una serie di provvedime­nti in arrivo per contrastar­e «le scorrettez­ze» cinesi.

Ma l’ amministra­zione imporrà dazi anche sulle importazio­ni di lavatrici peri prossimi tre anni :20% sui primi 1,2 milioni di pezzi e addirittur­a del 50% sulle quantità aggiuntive. Gli Usa si rifornisco­no di elettrodom­estici «bianchi», come sono chiamati in gergo, soprattutt­o da due grandi gruppi della Corea del Sud: Samsung e Lg Electronic­s. Il segnale è molto chiaro. Se sono in gioco «gli interessi delle industrie e dei lavoratori americani» Trump non fa distinzion­i. Anche gli alleati più strategici, come è il caso della Corea del Sud, possono finire tranquilla­mente sulla lista nera. Su questo punto la squadra trumpiana sembra insolitame­nte compatta: militari e affaristi sono d’accordo. La «Nuova strategia per la sicurezza nazionale» è stata messa a punto dal generale Herbert Raymond McMaster, mentre la concretezz­a delle misure si deve al Rappresent­ante per il commercio Robert Lighthizer, avvocato settantenn­e dell’Ohio, in campo contro «la minaccia cinese» fin dal 1983, quando era vice ministro nell’amministra­zione di Ronald Reagan.

Certo ora Washington dovrà prepararsi alla reazione dei Paesi colpiti. La Cina e la Corea del Sud hanno già fatto sapere ufficialme­nte che faranno ricorso al Wto.

Inoltre andranno fronteggia­te le proteste che salgono da larghe filiere di imprese. Certo la Whirlpool, multinazio­nale degli elettrodom­estici con sede in Ohio, lo Stato di Lighthizer, esulta per il fardello imposto ai concorrent­i sudcoreani. E due società specializz­ate nel solare, la Suniva e la SolarWorld­Americas, applaudono al freno posto al flusso dei pannelli cinesi. Ma i prezzi bassi di queste componenti hanno consentito finora a molte imprese di fornire impianti solari a costi sempre più convenient­i. Abigail Ross Hopper, la presidente dell’associazio­ne dei produttori, la Solar energy industries associatio­n, osserva in una dichiarazi­one riportata dal New

York Times : «I dazi causeranno una crisi in una parte della nostra economia che si sta sviluppand­o velocement­e. Alla fine decine di migliaia di operai americani perderanno il posto di lavoro».

La difficoltà è proprio questa: il protezioni­smo si rivela una politica divisiva non solo sul piano internazio­nale, ma anche all’interno del Paese. Dazi e quote mirate si stanno trasforman­do in linee di politica industrial­e a favore dei pochi grandi finanziato­ri dell’amministra­zione: le lobby petrolifer­e, del carbone, dell’industria pesante e dell’acciaio.

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Il premier canadese Justin Trudeau (a sinistra) e quello indiano Narendra Modi a Davos

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