Regeni, il mistero del documento in difesa dei servizi segreti civili
Verbale recapitato da anonimi incolpa l’intelligence militare. Dubbi sull’autenticità
Uno strano documento, probabilmente apocrifo, alimenta il sospetto di inquinamenti e oscure manovre sulla fine di Giulio Regeni, a due anni dal sequestro avvenuto al Cairo il 25 gennaio 2016. Nove giorni dopo, il 3 febbraio, il cadavere fu fatto ritrovare sul ciglio di una strada. Qualche tempo fa, alla Procura di Roma che indaga sull’omicidio in collegamento con i magistrati egiziani, è arrivato in forma anonima un presunto verbale di «consegna del detenuto Regeni» da parte del servizio segreto civile della Repubblica Araba d’Egitto ai colleghi del servizio segreto militare. C’è la data del 31 gennaio, e l’attestazione che il giovane italiano è in buone condizioni fisiche, tranne il segno di una contusione
La pista della Procura Le indagini si stanno concentrando su una decina di funzionari della National Security
che si sarebbe procurato da solo.
Il trasferimento della custodia da un apparato all’altro sarebbe stato deciso per proseguire le indagini sul conto di Giulio, ritenuto pericoloso perché considerato una possibile spia, in contatto con ambienti sovversivi. Nel documento si riferisce che il ricercatore ha respinto entrambe le accuse, e si dà conto di altri dettagli. Ma ci sono forti dubbi sulla sua autenticità. Dalle prime verifiche effettuate dagli inquirenti romani, attraverso la polizia giudiziaria e i servizi di informazione italiani, non ci sono elementi per certificarne la genuinità; anzi, per come è confezionato prevale il sospetto che sia un falso, sebbene il testo possa contenere qualche particolare vero o verosimile. In ogni caso il magistrato ha trasmesso il presunto verbale alla Procura egiziana, ma finora non è giunta nessuna risposta.
L’unica certezza pare l’obiettivo di chi ha recapitato il documento: scaricare la responsabilità delle torture e della morte di Giulio Regeni su uno specifico segmento degli apparati di sicurezza, quello militare. Proprio mentre le indagini si stanno concentrando su appartenenti alla National security, cioè il Servizio civile. Un mese fa il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e il sostituto Sergio Colaiocco hanno consegnato ai colleghi egiziani l’informativa di polizia e carabinieri sul possibile ruolo di una decina di funzionari nel rapimento di Regeni. Quel pezzo di carta sembra fatto apposta per scagionarli dall’accusa di sevizie e omicidio, facendo passare la scomparsa del ricercatore italiano come una normale operazione di sicurezza finché il ricercatore è stato nelle loro mani.
Sono considerazioni che inevitabilmente rafforzano gli interrogativi sull’attendibilità del presunto verbale, nonché il mistero sulla sua provenienza. Che resterebbero anche nel caso (molto remoto) fosse autentico, facendo crescere l’ipotesi di una guerra intestina ai servizi segreti egiziani. Forse alimentata anche dagli sviluppi del «caso Regeni», che da due anni sta mettendo in imbarazzo il regime del presidente Al Sisi a livello internazionale. In questo quadro potrebbe assumere rilevanza anche la recentissima rimozione del capo di un’altra struttura di intelligence egiziana, sostituito da un generale considerato molto vicino ad Al Sisi.
Domani, nel secondo anniversario della scomparsa di Giulio, in tutta Italia si svolgeranno manifestazioni a sostegno della richiesta di verità e giustizia, e di solidarietà con i genitori del ragazzo che da due anni aspettano di sapere chi e perché l’ha sequestrato, torturato e ucciso.