La specializzanda inascoltata: «Io dissi che era ipertermia»
Bari, la piccola e l’operazione fatale. Gli atti della commissione interna
La giovane anestesista al quinto anno di specializzazione aveva capito e forse la piccola Zaray si sarebbe potuta salvare. Ma la sua opinione non fu presa in considerazione. Non solo, fu persino allontanata dalla sala operatoria. «Ho ipotizzato in maniera esplicita che potesse trattarsi di ipertermia maligna. Ho toccato la fronte della paziente che sembrava calda». A quel punto la 33enne specializzanda Elisiana Lovero, della provincia di Bari, chiede un termometro e il «dantrolene», farmaco salvavita in questi casi. «Mi è stato risposto che il dantrolene non c’era e me ne sono meravigliata». «Mi sono spostata con il caposala nella stanza dei farmaci adiacente dove mi mostrava che il dantrolene non c’era e mi disse che da quando le precedenti confezioni erano scadute le scorte non erano state ripristinate». Il termometro, invece, c’è. Ma non funziona.
Questa la ricostruzione di Lovero contenuta nella relazione della commissione d’inchiesta sulla morte della piccola Zaray, 12 anni, deceduta lo scorso 19 settembre, appunto, per una presunta ipertermia maligna durante un intervento per la frattura del femore all’ospedale « Giovanni XXIII». L’ipertermia è una febbre altissima di origine genetica scatenata dall’anestesia. Grave ma non mortale se si interviene con un farmaco, il dantrolene, indispensabile in sala operatoria.
A quattro mesi dai fatti e dopo i continui appelli del padre Massimo Coratella, che aveva adottato Zaray a sei anni, arriva la relazione choc della commissione di indagine interna all’ospedale che il governatore pugliese Michele Emiliano ha di fatto secretato e vuole consegnare ai pm.
Torniamo in sala operatoria. Subito dopo l’inizio dell’intervento alcuni valori preoccupano la dottoressa. Interrompe gli ortopedici per verificare. Dopo essere stato chiamato, arriva anche l’anestesista responsabile che le dice cosa fare. Lei esegue e per farlo deve fermare ancora gli ortopedici. La situazione non migliora, anzi. E allora torna il responsabile. Lei riferisce dell’ipotesi di ipertermia maligna, ma «alle rimostranze degli ortopedici per le continue interruzioni», dice ancora la giovane dottoressa ai commissari, «mi viene detto di uscire dalla sala esonerandomi dalla mia attività». Insomma l’unica che aveva capito viene allontanata. In quel momento si pensa a un’embolia polmonare. Solo successivamente, in terapia intensiva, tutti concorderanno con la sua intuizione iniziale.
Oggi, con l’inchiesta in corso, la dottoressa Lovero non vuole aggiungere altro: «Ho riferito in Procura. Ritengo opportuno per il sereno prosieguo delle indagini e nel rispetto di tutte le parti coinvolte, non rilasciare dichiarazioni».
Sembra anche che la specializzanda si sia trovata da sola in sala operatoria, senza cioè un anestesista tutor. Circostanza negata dal tutor ma in parte confermata dal chirurgo ortopedico e comunque, annotano i commissari, le assenze potrebbero essere giustificate «da altre e contemporanee esigenze assistenziali».
E poi c’è il farmaco: «Sembrerebbe emergere — scrivono i commissari — che il dantrolene consegnato all’anestesia/sala operatoria il 4 giugno 2015 sarebbe scaduto nel giugno 2017». L’intervento su Zaray è del 19 settembre. Insomma il farmaco se c’era era scaduto. Eppure c’è un’anestesista che afferma di averlo somministrato nel tragitto tra la sala operatoria e la terapia intensiva. Ma i commissari ragionano: o non è vero oppure è stato somministrato un farmaco scaduto o ancora (ma è ritenuto poco probabile) proveniva da un altro reparto.
Del resto, dalla cartella clinica risulta che la prima somministrazione di dantrolene sia stata fatta solo in terapia intensiva. Ma per Zaray, probabilmente, era ormai troppo tardi.