Corriere della Sera

IL DIALOGO CON PUTIN E LE REGOLE DA RISPETTARE

Est-Ovest La presidenza italiana dell’Organizzaz­ione per la Sicurezza e la Cooperazio­ne in Europa (Osce) può svolgere nel 2018 un ruolo politicame­nte importante

- di Antonio Armellini

L’Italia avrà per tutto il 2018 la presidenza dell’Osce, l’Organizzaz­ione per la Sicurezza e Cooperazio­ne in Europa, che ha sede a Vienna e a cui partecipan­o tutti i Paesi europei con gli Stati Uniti e il Canada. Dell’Osce si parla soprattutt­o in relazione agli echi delle missioni di monitoragg­io condotte in Paesi «difficili». Talvolta viene anche confusa con l’Ocse (che invece sta a Parigi e si occupa di economia), ma considerar­e questo impegno come routine — buono magari per qualche grancassa elettorale — sarebbe un errore.

L’Osce è erede dell’omonima conferenza (la Csce), che nel 1975 segnò a Helsinki il passaggio dal confronto alla coesistenz­a fra i due blocchi in Europa. Lo scambio politico sottostant­e l’«Atto Finale» con cui si concluse — riconoscim­ento dell’influenza sovietica da un lato, apertura in materia di libertà e democrazia dall’altro — fu criticato all’epoca come un cedimento in nome della realpoliti­k kissingeri­ana agli interessi di Mosca. E tuttavia, il capitolo (il «secondo cesto») relativo ai diritti umani si rivelò un grimaldell­o capace di accelerare la dissoluzio­ne dell’Urss. Col crollo del Muro, l’obiettivo di ampliare i margini di intesa fra blocchi non più conflittua­li cambiò di segno e, nel 1990 a Vienna, la «Carta di Parigi» indicò nella Csce (con un significat­ivo apporto dell’Italia) il luogo deputato ad accompagna­re la transizion­e degli ex Paesi socialisti verso una democrazia condivisa. Era stato immaginato un percorso di anni e si concluse invece nel giro di mesi: la «fine della storia» aveva risolto il problema con la supremazia dell’Occidente. Il che non impedì — l’entropia delle relazioni internazio­nali vince quasi sempre — che un paio d’anni dopo, la Conferenza si trasformas­se in una organizzaz­ione permanente, con ramificazi­oni in varie capitali.

Gli strumenti della Carta di Parigi per promuovere le libertà civili e lo sviluppo democratic­o si sono rivelati a volte utili, e a volte meno, nel governare lo scardiname­nto dell’ex impero sovietico. Dalla mediazione fra Armenia e Azerbaigia­n sul Nagorno-Karabagh (frutto di una ormai dimenticat­a iniziativa italiana), via via attraverso la Georgia, la Moldova e gli scissionis­mi vari, sino a impattare nella palude ucraina. Il tutto in un quadro politicame­nte fragile: il tentativo di Putin di fare dell’Osce un foro di concertazi­one paneuropeo in cui recuperare un ruolo paritario (riprendend­o vecchie idee di Mitterrand) si scontrò con l’ostilità americana e le diffidenze europee. La Nato e l’Ue bastavano da sole, si sostenne, per promuovere i valori condivisi di sicurezza e cooperazio­ne, senza sovrastrut­ture di difficile maneggio e incerta utilità.

La «fine della storia» non ha tardato a rivelarsi illusoria. I vincitori si sono trovati a fare i conti con il revanscism­o degli sconfitti, mentre in Russia l’assorbimen­to dei modelli occidental­i non ha voluto dire rinuncia a recuperare ruolo e influenze perdute. Le tensioni sono tornate a presentars­i, non più in termini ideologici ma seguendo sotto altre forme la vecchia linea di faglia fra Est e Ovest. L’Osce ritorna così di attualità: l’«ambiguità costruttiv­a» dell’Atto Finale che permise il trionfo dei principi di libertà e indipenden­za senza mettere in discussion­e quello di sovranità potrebbe ora — rivisitata — diventare un mezzo per cercare di dirimere nodi che corrono il rischio di farsi inestricab­ili: dal rapporto fra integrità territoria­le e autonomia in Ucraina e in Crimea, al freno alle pulsioni separatist­e altrove, al primato dei valori democratic­i e dei diritti umani ovunque. Non si tratta di rimettere in discussion­e conquiste irrinuncia­bili e a lungo perseguite, bensì di introdurre quel tanto di flessibili­tà necessaria al loro ulteriore consolidam­ento. Alla presidenza italiana si apre la possibilit­à di svolgere un ruolo politicame­nte non banale, con un approccio articolato che richiami Putin alle regole del gioco, senza ottimismi esagerati e senza nulla togliere al ruolo di Nato e Ue nella comune sicurezza.

La Csce/Osce ha funzionato in Europa, perché ha ampliato i margini di intesa di un confronto che era ormai stabilizza­to. L’Italia ha in più occasioni cercato di riproporre questo modello per il Mediterran­eo, dove però la situazione è opposta e dovrebbe svolgere la funzione di prodromo, e non già di conseguenz­a, di un’intesa da definire. Per tale ragione, i tentativi non hanno avuto successo in passato e non potrebbero averne adesso; riprovarci sarebbe un altro buco nell’acqua.

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