Corriere della Sera

«Scrivere? Dovevo vivere»

Il brano Anticipiam­o un estratto de «Il canale dei cuori» in uscita da Skira

- di Giuseppe Sgarbi

Alla fine delle presentazi­oni, durante il firmacopie, c’è sempre qualcuno che si avvicina e mi chiede come mai ho aspettato tanto a lungo prima di cominciare a scrivere. «Scrive così bene», aggiunge, con un’intonazion­e che tradisce un «e chi se lo aspettava!». Mi piacerebbe poter rispondere la verità e cioè che non avevo la minima idea che mi sarei messo a scrivere. Devo confessart­i che ancora oggi la parola scrittore mi suona fuori posto se riferita a me stesso. Mi rendo conto, però, che, dopo tre romanzi in tre anni, una risposta del genere non sembrerebb­e credibile. E poi non voglio passare per una persona scortese. Anche perché non lo sono mai stato. Allora crollo la testa e sorrido, abbassando quegli occhi che la Rina chiamava «birichini» («Sono gli unici che mi hanno dato», mi schermivo; «Va’ là, va’ là, che hanno i sottotitol­i come il telegiorna­le e io ci vedo bene, sai?», replicava) e dico: «È andata così», sperando che basti a mascherare il mio disagio. «Dov’era lo scrittore che è in lei?», mi ha chiesto una sera una signora — una donna elegante, non più giovane ma ancora piuttosto bella. «Dormiva così profondame­nte che non me la sono sentita di svegliarlo», ho risposto. Ha sorriso, continuand­o a guardarsi intorno carica di elettricit­à, ma non sono certo che abbia capito. Le ho chiesto che nome dovevo mettere sulla dedica e, mentre cercavo di farmi venire in mente una frase non troppo banale (non mi sembra bello scrivere a tutti le stesse cose), pensavo che la verità è che o scrivi o vivi. Credo sia impossibil­e fare le due cose insieme. Farle bene, voglio dire. Per una questione di attenzione, più che di tempo. Bisogna scegliere a cosa dedicare le energie migliori. La vita è come la pagina: le devi stare dietro con la testa, altrimenti è un disastro. E finché c’era la Rina, nella testa avevo solo lei. La riempiva tutta e non rimaneva spazio per nient’altro. E poi bisognava tener fede alle promesse che ci eravamo scambiati al Montagnone. Promesse silenziose, è vero, ma pur sempre promesse. E vivere non è mica come scrivere: se sbagli, non puoi passare il bianchetto e ribattere oppure buttare il foglio nel cestino e ricomincia­re tutto da capo.

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