Dal mito al profumo, all’arte La forza simbolica dell’arancia
Dopo i fasti, la mortificazione nella libera concorrenza
È dal 1990 che l’Airc ha scelto l’arancia come frutto simbolo della salute e della prevenzione anti-cancro, e anche quest’anno, sabato prossimo, in oltre 2.500 piazze di tutta Italia sarà possibile sostenere la ricerca: donando almeno 9 euro, si riceverà dai volontari una reticella da 2 chili e mezzo di arance e una speciale Guida con preziose informazioni su alimentazione e cancro, oltre ad alcune gustose ricette a base di arance firmate dagli chef de La Cucina Italiana. Perché proprio una corretta alimentazione, abbinata ad una sufficiente attività motoria, è in grado di prevenire una malattia che, al netto dei progressi scientifici, resta estremamente pericolosa.
Ma l’arancia, al di là delle numerose proprietà benefiche che la caratterizzano, è sempre stata un simbolo positivo che ha attraversato epoche e conquistato culture differenti, anche molto raffinate. Già nella mitologia greca significava fecondità, amore, purezza (era un dono della dea Gea a Zeus ed Era per le loro nozze), e non è una sorpresa che nella cristianità i suoi candidi fiori siano stati tradizionalmente legati alla sposa e al matrimonio. Così come il suo albero, a volte identificato con quello del Bene e del Male, era associato al Paradiso, mentre nelle mani del Bambino Gesù, al posto della mela (che indicava la futura missione di Redentore), molti pittori fiamminghi ponevano un’arancia (in olandese sinaasappel, cioè «mela cinese»), visto che il frutto proviene probabilmente dalla Cina e solo successivamente -— tra il VII e l’XI secolo — è stato importato in Occidente, Asia minore e Nord Africa dagli arabi o, secondo altre fonti, almeno in Europa, dai navigatori portoghesi (anche se in alcuni affreschi romani comparirebbero già alcune arance amare). Tra l’altro, con il diffondersi dell’arancia anche l’arancione diventa un colore vero, indipendente dal rosso di cui era considerato una semplice variante (ancora oggi in italiano pesci e capelli oggettivamente arancioni vengono definiti «rossi»).
Gli alberi di agrumi, arancio in testa, erano considerati dagli arabi, abili agronomi e conoscitori dei segreti dell’irrigazione, pregiati per le loro grandi qualità decorative, il loro profumo, i colori brillanti. Ed è proprio intorno ad aranci, cedri e limoni, piantati a scopo ornamentale e non utilitaristico nelle regge e nei palazzi arabi di Nord Africa, Siria, Sicilia e Spagna, che nascono i primi giardini moderni, assunti col tempo a simbolo di prestigio sociale, di raffinatezza culturale e di benessere economico, dando vita a una tradizione, favorita dal diffondersi della cultura cortese, arrivata fino a noi. Questi alberi preziosi, da una parte diventano anche oggetto dei desideri di veri e propri collezionisti come Cosimo de’ Medici, dall’altra arance ed affini iniziano a guadagnarsi spazio e fama in ambito profumiero, in cucina e in campo medico e farmacologico.
Nell'arte si assiste invece a una curiosa parabola, con arance dipinte ovunque da Beato Angelico, Lorenzo Lotto, Van Eyck, Paolo Uccello, Botticelli, Arcimboldo, Velazquez, Cézanne, Matisse, Picasso, ma con un disinteresse crescente man mano che il frutto da prezioso diventa «democratico». Immagini di qualità di agrumi sopravvivono così solo nell’illustrazione botanica, che raggiunge i suoi vertici nelle tavole di Pierre-Joseph Redouté.
Oggi le nobili origini dell’arancia si sono perdute in una durissima guerra commerciale tra i Paesi produttori che ha provocato un abbattimento sostanziale dei prezzi e ha ridotto molti piccoli coltivatori sull’orlo del fallimento. Tanto che la riforma strutturale del settore invocata da anni, in Italia (le arance dell’Airc sono tutte nazionali) come altrove, sembra ormai indifferibile.
L’acquisto per l’Airc Solo frutti italiani nei chioschi: con 9 euro, due chili e mezzo, più una guida medica e alcune ricette degli chef