Isabella Ferrari: a teatro rivivo la mia misteriosa malattia
Costretta su una sedia a rotelle. Recita così Isabella Ferrari, in coppia con Iaia Forte, in Sisters. Come stelle nel buio del giovane autore napoletano, Igor Esposito, con la regia di Valerio Binasco, all’Ambra Jovinelli dal 1° febbraio.
«Questo progetto mi è stato proposto in un momento di profonda fragilità che stavo attraversando — confessa l’attrice —. Una proposta provvidenziale. Mi ero allontanata dal lavoro per oltre due anni, a causa di una malattia rara che mi aveva tolto dalle scene. E solo una cara amica come Iaia poteva convincermi ad accettare di tornare in scena, per di più a interpretare un ruolo che, in certo modo, avevo vissuto sulla mia pelle: una mattina mi ero svegliata ed era come se non avessi più le gambe». Isabella non vuole pronunciare il nome della malattia, ma fonti mediche affermano che potrebbe trattarsi di una patologia collegata a una neuropatia lombosacrale. «Non voglio nominarla, è un modo di proteggersi. E poi è stata una brutta avventura, ho avuto tanta paura, ma ormai è passata, basta, finita». Recitarla in teatro una sorta di training autogeno? «Sì, per esorcizzarla».
In una villa immersa nei ricordi, due sorelle, Chiara (Ferrari) e Regina (Forte), rivivono un passato glorioso ormai svanito. Sullo sfondo delle loro sbiadite esistenze si staglia la figura possente del padre, morto in un terribile incidente stradale in cui Chiara stessa perde l’uso delle gambe: «Ma nonostante la paralisi, cui si aggiunge un problema alle corde vocali il mio personaggio è una figura positiva: un’ex attrice che ha avuto successo e che ormai vive di ricordi. Rilegge le lettere dei suoi ammiratori, rivede i suoi vecchi film, ripercorre insomma il tempo in cui era vincente, ma lo fa senza tristezza: Chiara è mortificata nel corpo, non nello spirito, non è più autosufficiente, non cammina più e oltretutto parla con una voce nasale, tuttavia è solare. Purtroppo però dipende totalmente dalla sorella che invece è cupa, vive nel ricordo morboso del padre annegando il dolore nell’alcol. Dal confronto di queste due solitudini si evince che l’aggressione dell’anima è sempre più grave di qualunque menomazione fisica».
Tra paralisi e voce contraffatta, un lavoro non facile per l’attrice: «Faticoso, certo, una black comedy che ricorda un po’ Che fine ha fatto Baby Jane?. Ogni sera Iaia ed io ci battiamo su un ring, ci mettiamo il sangue, sennò non c’è spettacolo».
Dopo Napoli velata di Ferzan Ozpetek, Isabella sarà a breve nelle sale con Euphoria, il nuovo film di Valeria Golino: «Un’altra carissima amica. Di questi tempi è meglio lavorare con le amiche». A cosa allude? «Allo scandalo delle molestie. Sono rimasta basita dalle affermazioni della Deneuve: non è accettabile un “sì, però...”. La seduzione è un gioco tra due persone fatta di sguardi, di silenzi e ben venga tutta la vita. L’aggressione è altra roba, non ci sono più due persone alla pari, bensì un solo protagonista, l’aggressore, e la vittima aggredita. Mi pare che ci sia in giro tanta ambiguità, soprattutto misoginia. Ormai ho 53 anni, ma in passato anch’io ho subito molestie: non ho denunciato, ho subito per paura dell’abuso di potere. Ammiro le attrici americane e Asia Argento: hanno avuto il coraggio di metterci la faccia. Noi attrici possiamo fare tanto perché siamo dei corpi pubblici, siamo esposte, possiamo alzare la voce e aiutare quelle donne che la voce non hanno».
Questo progetto mi è stato proposto in un momento di profonda fragilità che ho attraversato: mi svegliavo e non sentivo più le gambe