Gioventù ignorata
Anome di chi non ha più la sua età, vorrei chiedere scusa alla dottoressa Elisiana Lovero, specializzanda di trentatré anni. Nemmeno pochi, ma in Italia fino ai quaranta un medico — un avvocato, un usciere, un qualsiasi essere umano che non faccia il tronista o il candidato premier — viene trattato come se sedesse ancora sui banchi delle elementari. La dottoressa, assistente anestesista, segnala che la ragazzina sotto i ferri per una frattura al femore è in pericolo di vita. Ma nessuno le dà retta, in quella sala operatoria di Bari. A cominciare dai chirurghi, che si sentono rallentati, persino infastiditi dalle sue osservazioni. Alla fine la allontanano dalla sala come un’intrusa, senza scendere dal pero delle loro certezze. La paziente muore. E adesso ci si chiede: per- ché non hanno creduto alla dottoressa, l’unica ad avere capito come stavano le cose? Perché era donna? Si spera di no. Dunque perché era giovane e non ancora «di ruolo»?
Abbiamo sentito dire tante volte che una società sana trae linfa dalle voci più fresche e se ne lascia sorprendere. Non giudica le persone solo in base alla carta di identità e al numero di mostrine cucite sulla divisa. Il capo decide, ma prima di farlo presta orecchio a tutti i pareri, specie a quelli che provengono dalle menti meno contaminate dall’abitudine. Il fatto che succeda sempre più di rado è indice di presunzione e di paura. Chi si sente arrivato si sente anche infallibile e al tempo stesso minacciato da una generazione che invece ha l’impressione di non arrivare mai.