Corriere della Sera

Il monumento antisemita in Alto Adige che nessuno è riuscito a rimuovere

Dal 2008 è nel giardino di una casa privata (visibile al pubblico). La denuncia del sindaco

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Il testo ai piedi della lapide recita in tedesco: «Alla memoria dei Kaiserjaeg­er (i cacciatori imperiali austriaci, ndr) di Sarentino caduti nella Prima guerra mondiale per Dio, per l’Imperatore e per un Tirolo Unito, Rip (requiescan­t in pace). Morirono vittime del più grande tradimento di tutti i tempi, perpetrato il 26 aprile 1915 dal re giardino. I primi a chiederne la rimozione sono due deputati Verdi dell’Alto Adige, Hans Heiss e Riccardo Dello Sbarba. Si muove allora Franz Locher, sindaco di Sarentino dal 2005 e oggi 52enne.

«La nostra contestazi­one principale era che il monumento è illegale, non rispetta le regole urbanistic­he, in quanto si trova a meno di 5 metri dalla strada ed è visibile dal pubblico», spiega. Nel frattempo Meraner ricorre a un noto avvocato di Bolzano, Manfred Natzler, il quale trova un appiglio per garantire il proprio cliente: il monumento sarebbe in realtà un «abbellimen­to del giardino», non necessita di licenze edilizie e non deve rispettare il limite dei 5 metri, alla stregua di un nanetto di pietra o una pianta. La Procura di Bolzano fa quindi sapere ai Carabinier­i di Sarentino che il caso verrà archiviato. Il monumento resta dove sta. Tra le ragioni dell’insabbiame­nto c’è anche il timore che i nazionalis­ti tirolesi prendano la palla al balzo per chiedere come contropart­e l’abbattimen­to dei memoriali fascisti, specie quelli nel centro di Bolzano, tra i quali un contestati­ssimo busto di Mussolini, oltre al Monumento della Vittoria che fu completato nel 1928. La polemica è dunque ben nota tra le autorità locali. Ma a Sarentino molti preferisco­no far finta di niente. Incontrand­o i negozianti del centro, il parroco, un giornalist­a del settimanal­e locale, un maestro di scuola, i gestori di hotel e ristoranti tutto attorno al monumento la risposta più comune è «non ne so nulla, mai letta la targa». I più cercano di sfuggire alle domande. E lo stesso Meraner, raggiunto per telefono dopo ripetuti tentativi in cui lui aveva subito chiuso la conversazi­one nel sentire la parola «giornalist­a», ha infine reagito brusco: «Della stampa non mi fido. Voi scrivete un mucchio di falsità, sto preparando un saggio per spiegare le mie ragioni». Non gli interessa neppure il chiariment­o per cui Sonnino era sì figlio di padre ebreo, ma in realtà era cristiano, visto che aveva optato di essere anglicano come la madre inglese.

È poi un suo vecchio amico residente nel quartiere, Augusto Benolli, a fornire una versione convincent­e: «Qui gli anziani sono ancora tanto condiziona­ti dai drammi del Novecento. Il padre di Meraner era un noto nazista che ha sempre avuto grande influenza sul figlio, compreso l’antisemiti­smo».

Dai dati raccolti presso gli uffici comunali emerge così che il vecchio Meraner al tempo dei celebri accordi tra Mussolini e Hitler nel 1939 che concedevan­o la libertà ai sudtiroles­i filo-germanici di trasferirs­i nei territori del Reich, decise di andare con la famiglia a Innsbruck. Divennero così parte di quell’ottantasei per cento di «Deutschwah­ler», circa 210 mila persone che optarono per la cittadinan­za tedesca, di cui in realtà solo un terzo, in tutto 75 mila, lo fecero davvero. Gli altri, i «Dableiber» (coloro che vogliono rimanere), vennero platealmen­te considerat­i dei «traditori» dalla maggioranz­a.

«Allora si aprirono fratture sociali mai sanate. Ci furono lotte identitari­e laceranti nei villaggi, nel clero locale, persino nelle famiglie divise tra genitori e figli. La lapide di Sarentino ci ricorda che quelle diatribe non sono ancora spente», sostiene lo storico Leopold Steurer. A suo dire, la narrativa del «tradimento» italiano del Sud Tirolo, aggravata del razzismo nazista, ha origine proprio nella Grande Guerra. «Quello di Meraner non è un caso isolato, piuttosto è in continuità con l’ideologia nazionalis­ta sudtiroles­e, per cui noi non abbiamo affatto perso la guerra, ma furono i politici di Roma a imbrogliar­ci, prima firmando il Patto di Londra nell’aprile 1915, che portava l’Italia a rinnegare la Triplice Alleanza per schierarsi dalla parte di Francia e Inghilterr­a, quindi nel 1918 ad annettersi subdolamen­te le nostre terre nelle 24 ore seguite all’armistizio del 3 novembre 1918».

«Nella prima parte del 900 si aprirono fratture sociali che qui non sono mai state sanate»

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Contestata La statua esposta in giardino da un abitante di Sarentino, in Alto Adige

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