Corriere della Sera

Astuzie e tranelli I politici come i soldati del ’400

I politici durante la campagna elettorale del 1983 Usano le astuzie e i tranelli dei soldati del Quattrocen­to ma non si capisce chi è nemico di chi e per cosa si batte

- di Carlo Fruttero e Franco Lucentini

Nel ’400 gli italiani erano i maestri nell’arte della guerra: astuzie e tranelli per spiazzarsi. Fino a concordare tra i contendent­i la vittoria o la sconfitta senza combattere. Un’incruenta forma di guerra che sembra filtrata ai moderni partiti: prima della battaglia tutti trattano di come si schiereran­no dopo.

Leggendo anni fa un saggio sui soldati di profession­e, detti altrimenti mercenari, fummo colpiti dal capitolo dedicato alle compagnie di ventura italiane, dove si raccontava­no cose senza dubbio notissime agli appassiona­ti di storia militare, ma che a noi parvero stupefacen­ti, mirabolant­i. L’autore (un inglese) spiegava che nel Quattrocen­to gl’italiani erano diventati i maestri indiscussi nell’arte della guerra; per chiunque in Europa praticasse il mestiere delle armi era indispensa­bile aver militato sotto le banuro diere di un Condottier­o di rango. Come esempio supremo della perfezione raggiunta dai Condottier­i nella loro specialità, lo studioso citava il caso di due di essi che si affrontaro­no tra i colli dell’Italia centrale e per due giorni misero in atto tutto il loro repertorio di astuzie e tranelli per spiazzarsi e sorprender­si a vicenda. Marce e contromarc­e, finte e controfint­e, mosse subito intuite e parate da altre mosse ancora più raffinate e fantasiose. Finalmente uno dei due riuscì a chiudere l’altro in una posizione impossibil­e, perdente.

Ma invece di attaccare l’avversario ormai nettissima­mente svantaggia­to, il primo mandò al secondo un’ambasciata: «Tu sei esperto quanto me, abile quanto me, ragionevol­e quanto me e a questo punto avrai capito benissimo che per il tuo esercito non c’è scampo, sarò sicurament­e io a vincere. E allora, che senso ha combattere? Dichiarati sconfitto a priori, e eviteremo un inutile massacro».

La lucida proposta fu lucidament­e accettata. La battaglia non ebbe luogo. I due condottier­i si salutarono cerimonios­amente e si separarono, ciascuno alla testa delle sue ferree e intatte schiere.

Il sublime episodio ci è tornato in mente varie volte in queste giornate pre-elettorali. Nel modo sotterrane­o, ineffabile, indimostra­bile in cui agiscono le tradizioni di un popolo, è possibile — ci chiediamo — che quella geniale e incruenta forma di guerra sia filtrata fino alle segreterie dei moderni partiti politici italiani?

Lo spettacolo è invero straordina­rio, unico nel suo genere: prima della battaglia tutti trattano esclusivam­ente di come si schiereran­no

dopo. Tu poi allora ti metti con me; no, io sto pensando di mettermi con lui; state attenti che se non mi volete con voi, io mi metto con loro; con che diritto pretendi che lui si metta con te, quando sono io che gli ho promesso di mettermi con lui?

Staffette, messaggeri, aiutanti galoppano da un accampamen­to all’altro recando dispacci enigmatici. Non si vede all’ingiro una sola postazione fissa, un obiettivo riconoscib­ile. Qua si scava una trincea, che l’indomani è deserta. Là si appresta un bastione che nella notte viene abbandonat­o.

Il cittadino assiste sempre più perplesso a queste fluide evoluzioni e compenetra­zioni. Chi è nemico di chi? Chi si batte per che cosa? La sua impression­e è che, in base a programmi fatti di nulla, gli si chieda di eleggere una nullità a governare il nulla. Ma è un’importante verifica!, gli mandano a dire da un alfiere trafelato.

Sarà. Da anni il cittadino sente parlare di «verifiche», si è anzi a poco a poco rassegnato all’idea che la vita politica italiana sia tutta una verifica. Finora però credeva ancora che le elezioni fossero una forma di verifica superiore, una verifica, per così dire «vera», cui si ricorreva quando le snervanti pseudo-verifiche settimanal­i o quotidiane non davano più nessun risultato.

Ma ora, contemplan­do le diverse milizie che percorrono da destra a sinistra e da sinistra a destra l’arido terreno elettorale, egli si pone una domanda che lo turba. Se questi mobilissim­i avversari sono già più che persuasi di doversi rimettere insieme dopo la battaglia; se ciò

che realmente conta e pesa e influisce e determina non sembra più essere l’esito della battaglia stessa bensì i patti, gli accordi, gli ammicchi intercorsi tra gli avversari in vista della medesima, a che scopo, allora, combatterl­a? Perché non decidere alla vigilia della pugna, che la pugna non ci sarà? A’ la non-guerre comme à la non-guerre!

La possibilit­à ormai concreta di una simile omissione fa pensare ai più pessimisti che il nostro sistema politico sia giunto al termine del suo ciclo. Quando le elezioni diventano di fatto superflue (non hanno il potere di cambiare nulla, tutto essendo contrattat­o e stabilito in anticipo tra i Condottier­i) ci vuol poco perché anche gli elettori arrivino a «sentirle» come non necessarie; e a quel punto non ci vuol molto perché qualche Supercondo­ttiero decida realistica­mente di sopprimere la finzione, tra il plauso generale.

Le elezioni non servono più a niente? Ma appunto! Quale altro Paese è in grado di offrire ai cittadini un rito così mirabilmen­te gratuito, una gestualità così depurata di ogni senso, un certame che è pura rappresent­azione, puro teatro? Sarebbe follia non approfitta­rne un’ultima volta, negare il biglietto d’ingresso (il voto) a tanti volenteros­i, meraviglio­si attori! Tanto più che questa potrebbe anche essere la loro serata d’addio.

Quale altro Paese è in grado di offrire un rito così mirabilmen­te gratuito, una gestualità così depurata di ogni senso?

 ??  ?? Carlo Fruttero (a sinistra) e Franco Lucentini in un disegno di Tullio Pericoli
Carlo Fruttero (a sinistra) e Franco Lucentini in un disegno di Tullio Pericoli
 ??  ?? Il film Una scena de «Il mestiere delle armi» di Ermanno Olmi: uscì nel 2001
Il film Una scena de «Il mestiere delle armi» di Ermanno Olmi: uscì nel 2001

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