Corriere della Sera

GIANNELLI

Orlando (in corsa a Parma) sceglie la via della «responsabi­lità»

- di Alessandro Trocino

Ultime ore prima della presentazi­one delle liste. Scontro nei partiti.

Il gran rifiuto di Gianni Cuperlo, che sbatte la porta e restituisc­e il collegio di Sassuolo ai sassolesi, è il sigillo di una giornata drammatica per la minoranza del Pd. È stato un «regolament­o di conti» ruggisce Marco Meloni, unico lettiano sopravviss­uto, escluso dalle liste. Ma nonostante le proteste, lo sconcerto e il malessere, Andrea Orlando e gli altri scelgono ancora una volta la strada della «responsabi­lità». Il ministro della Giustizia incassa un risultato ai minimi termini e un collegio per sé decisament­e fuori zona (Parma), ma invita tutti a «non fare polemiche».

Le contraddiz­ioni

Un appello alle armi che stona con quello che è accaduto nelle ultime ore. C’è chi la chiama «responsabi­lità», chi «mancanza di coraggio», chi «impotenza». Sta di fatto che c’è un pezzo di partito incredulo, come un pugile che ha danzato a bordo ring troppo a lungo e che, colpito a sorpresa, finisce al tappeto. Alle quattro di notte si consuma una sorta di tragedia shakespear­iana che si abbatte su quel che resta dell’opposizion­e. Agli orlandiani finiscono 18 candidati (ma favoriti per l’elezione solo una decina), ai cuperliani 4-5, a Emiliano 3. Alcuni parlano apertament­e di «epurazione», altri di «normalizza­zione».

A causare la rabbia, non solo il merito e i numeri, ma anche il metodo. Il blackout nella notte, i silenzi, la gente candidata «a sua insaputa» e spostata in collegi sperduti e insicuri. Renzi smentisce veti e minimizza, spiegando che ha cercato solo la squadra migliore per vincere. Ma le voci dell’opposizion­e insistono: non dovevano passare, e non passano, Andrea Martella, coordinato­re della mozione di Orlando, e Marco Sarracino, giovanissi­mo portavoce. Non passa neanche Sergio Lo Giudice, di Retedem, bandiera dei diritti civili: «Sono stato fatto fuori da veti incrociati, nessuno dei nostri parlamenta­ri sarà rieletto». Colpisce la candidatur­a di Pier Ferdinando Casini a Bologna.

La maratona notturna

Sarracino parla di «tristezza collettiva», di «situazione senza precedenti»: «Non si fa così. Abbiamo saputo alle 4.30 di non esserci. Nel mio collegio c’è finito Francesco Borrelli, quando i Verdi a Portici sono contro il Pd». A Napoli dovrà votare Renzi, capolista al Senato: «Già, il profeta della rottamazio­ne, che ha rottamato noi. La verità è che il Pd ormai è come la Juve: è la squadra più odiata del Paese. Ma a differenza dei bianconeri, noi neanche vinciamo».

Umor nero, bile, frustrazio­ne. Miriam Cominelli, giovane uscente: «Siamo stati umiliati. Renzi ha voluto dimostrare che comanda lui. Al mio posto hanno messo Francesca Raciti, paracaduta­ta da Catania. Come farà il Pd a prendere i voti?». Avevano ragione quelli di Leu a dirvi che finiva così? «Me lo ha detto Paolo Corsini, ma hanno sbagliato a uscire. E a Leu non ci passo: non ancora almeno».

Un «Grande Fratello»

In Parlamento non ci sarà neanche Daniele Marantelli, fiero federalist­a, ufficiale di collegamen­to con il Nord: «Avevo dato con fatica la disponibil­ità, visto la feroce opposizion­e di moglie e figli. Ma hanno scelto di premiare i candidati nell’ottica di un’alleanza con Berlusconi. È stato un Grande Fratello». Lei è stato tre anni tesoriere: «Mai una polemica, ha notato? Ora passerò ordinatame­nte le consegne e andrò a giocare a calcetto. Anche se dalla passione politica non ci si dimette. E Orlando sbaglia a minimizzar­e: non è una questione di dettagli, ma di linea politica. Renzi ora controlla tutto».

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