GIANNELLI
Orlando (in corsa a Parma) sceglie la via della «responsabilità»
Ultime ore prima della presentazione delle liste. Scontro nei partiti.
Il gran rifiuto di Gianni Cuperlo, che sbatte la porta e restituisce il collegio di Sassuolo ai sassolesi, è il sigillo di una giornata drammatica per la minoranza del Pd. È stato un «regolamento di conti» ruggisce Marco Meloni, unico lettiano sopravvissuto, escluso dalle liste. Ma nonostante le proteste, lo sconcerto e il malessere, Andrea Orlando e gli altri scelgono ancora una volta la strada della «responsabilità». Il ministro della Giustizia incassa un risultato ai minimi termini e un collegio per sé decisamente fuori zona (Parma), ma invita tutti a «non fare polemiche».
Le contraddizioni
Un appello alle armi che stona con quello che è accaduto nelle ultime ore. C’è chi la chiama «responsabilità», chi «mancanza di coraggio», chi «impotenza». Sta di fatto che c’è un pezzo di partito incredulo, come un pugile che ha danzato a bordo ring troppo a lungo e che, colpito a sorpresa, finisce al tappeto. Alle quattro di notte si consuma una sorta di tragedia shakespeariana che si abbatte su quel che resta dell’opposizione. Agli orlandiani finiscono 18 candidati (ma favoriti per l’elezione solo una decina), ai cuperliani 4-5, a Emiliano 3. Alcuni parlano apertamente di «epurazione», altri di «normalizzazione».
A causare la rabbia, non solo il merito e i numeri, ma anche il metodo. Il blackout nella notte, i silenzi, la gente candidata «a sua insaputa» e spostata in collegi sperduti e insicuri. Renzi smentisce veti e minimizza, spiegando che ha cercato solo la squadra migliore per vincere. Ma le voci dell’opposizione insistono: non dovevano passare, e non passano, Andrea Martella, coordinatore della mozione di Orlando, e Marco Sarracino, giovanissimo portavoce. Non passa neanche Sergio Lo Giudice, di Retedem, bandiera dei diritti civili: «Sono stato fatto fuori da veti incrociati, nessuno dei nostri parlamentari sarà rieletto». Colpisce la candidatura di Pier Ferdinando Casini a Bologna.
La maratona notturna
Sarracino parla di «tristezza collettiva», di «situazione senza precedenti»: «Non si fa così. Abbiamo saputo alle 4.30 di non esserci. Nel mio collegio c’è finito Francesco Borrelli, quando i Verdi a Portici sono contro il Pd». A Napoli dovrà votare Renzi, capolista al Senato: «Già, il profeta della rottamazione, che ha rottamato noi. La verità è che il Pd ormai è come la Juve: è la squadra più odiata del Paese. Ma a differenza dei bianconeri, noi neanche vinciamo».
Umor nero, bile, frustrazione. Miriam Cominelli, giovane uscente: «Siamo stati umiliati. Renzi ha voluto dimostrare che comanda lui. Al mio posto hanno messo Francesca Raciti, paracadutata da Catania. Come farà il Pd a prendere i voti?». Avevano ragione quelli di Leu a dirvi che finiva così? «Me lo ha detto Paolo Corsini, ma hanno sbagliato a uscire. E a Leu non ci passo: non ancora almeno».
Un «Grande Fratello»
In Parlamento non ci sarà neanche Daniele Marantelli, fiero federalista, ufficiale di collegamento con il Nord: «Avevo dato con fatica la disponibilità, visto la feroce opposizione di moglie e figli. Ma hanno scelto di premiare i candidati nell’ottica di un’alleanza con Berlusconi. È stato un Grande Fratello». Lei è stato tre anni tesoriere: «Mai una polemica, ha notato? Ora passerò ordinatamente le consegne e andrò a giocare a calcetto. Anche se dalla passione politica non ci si dimette. E Orlando sbaglia a minimizzare: non è una questione di dettagli, ma di linea politica. Renzi ora controlla tutto».