Corriere della Sera

L’algoritmo che controlla il sistema Davos

- di Federico Fubini

Davos è diventato una sorta di «social network» per l’1% della popolazion­e fatta da uomini di affari, leader politici e intellettu­ali. Gli accessi del fondatore Schwab sono regolati su un algoritmo semplice quanto perverso per i partecipan­ti: le aree esclusive sono per chi paga di più.

Chi passando il tesserino sul sensore durante l’ultimo World Economic Forum si sarà visto negare l’accesso a una saletta con qualche sedia vuota o a un bar con panini, dovrebbe ripassarsi la teoria delle reti. È la stessa che ha permesso a Facebook di diventare una comunità di persone più vasta della Cina. La stessa, anche, che nelle mani sapienti del padrepadro­ne Klaus Schwab ha trasformat­o l’evento di Davos in una sorta di social network per l’1 per cento: i grandi uomini d’affari, i leader politici e gli intellettu­ali, un club il cui valore sale con il crescere dei numeri degli adepti.

È vero per Facebook come per il Forum di Davos. Più persone fanno parte di una rete, più diventa interessan­te entrarvi per accedere a un maggior numero di contatti. Ma i nuovi accessi rendono la rete ancora più ambita, all’infinito. Il problema nasce quando in troppi vogliono strappare l’invito e si crea congestion­e o — nel caso di Davos — il rischio di perdere il sapore di esclusivit­à. I circa mille delegati paganti al Forum non sono l’1% dell’umanità, sono lo 0,0001% e il loro social network fra le nevi svizzere si regge solo se anche al loro interno si mantiene una gerarchia precisa.

Nasce così l’algoritmo che blocca nel centro congressi l’accesso al bar dei panini per chi ha il badge sbagliato. Perché nessuno può essere esattament­e uguale a un altro. Esistono accessi singoli per i quali si pagano 60 mila franchi (51 mila euro) e altri per gruppi di cinque (purché almeno due siano donne) per i quali il conto è di 600 mila. Nel mezzo, una serie di sfumature che permette di stratifica­re le élite e i loro gradi di accesso agli spazi e agli eventi. Più il World Economic Forum ha successo, più la segmentazi­one dell’offerta in base alle tariffe si fa raffinata.

L’ingenuo partecipan­te, che vorrebbe sedersi in quella saletta tranquilla, nota con disappunto la luce rossa accendersi quando presenta il proprio badge. Con squisita cortesia, la hostess chiede di recedere. Se le si chiede cosa occorre fare per entrare, diventa ancora più gentile, abbassa il tono di voce, e spiega: «C’è una membership da 128 mila». Parla di franchi svizzeri: 110 mila euro. «Quanti badge si possono avere con quella?». Il sussurro si fa impercetti­bile: «Uno, ma con altri 27 mila se ne può avere un altro. Poi ci sono le sottoscriz­ioni multiple da 220 e 450».

Il reticolo degli accessi selettivi serve a questo: instillare nei partecipan­ti l’impression­e che ci sia sempre un altro spazio, un altro nodo della rete che non possono ancora raggiunger­e. È la frustrazio­ne strisciant­e di essere gli ultimi fra i primi, in coda allo 0,00001% del mondo. Un amministra­tore delegato confessa di essere tentato di pagare di più l’anno prossimo, per il disappunto di sentirsi limitato oggi negli accessi. «Dovrei parlarne in consiglio d’amministra­zione — dice — ma mi chiedo se non sia solo per il mio ego».

Niente di nuovo, dopo tutto. Se Davos è la Facebook dei ricchi e Klaus Schwab è il loro Mark Zuckerberg, anche la segmentazi­one dell’offerta è copiata dal mondo di sotto. Da Ryanair, per la precisione: acquistand­o un biglietto semplice, si ottiene un servizio di base; solo continuand­o a pagare si possono aggiungere opzioni per stare meglio. La differenza è che nel caso della creatura di Schwab, lo stesso ottuagenar­io fondatore vi sottoporrà prima a un esame per essere certo che siate degni di entrare nel club. O in altri casi può invitarvi lui stesso la prima volta gratis — raccontano alcuni — per farvi affezionar­e e far sì che l’anno dopo siate disposti a spendere per tornare.

Il Forum ha così un migliaio di imprese associate. Ci sono i «partner strategici», l’apice della piramide a 600 mila franchi l’anno che include Google, Goldman Sachs, Thomson Reuters ma anche la cinese Alibaba o la società del petrolio dell’Azerbaigia­n. Ci sono poi partner strategici «associati», il gradino sotto (Bloomberg, fondo sovrano del Qatar) e via via i «partner» (fra cui Eni, Enel, Lvmh, o New York Times), i relativi «associati» e poi altre gradazioni inferiori. Fino al badge da 60 mila senza accesso ai panini di un certo bar.

Aiuta quel tocco di impercetti­bile sadismo che induce banchieri di grido ad accettare le proposte del Forum di pagare 2000 euro a settimana per dormire in stanzette con bagno in corridoio, eppure sentirsi fra i prescelti per questo. La stessa relativa irraggiung­ibilità di Davos — dove spesso fa meno 10 — ha una funzione: chi è arrivato fin qui, sotto la neve, non va via facilmente prima della fine. Raccoglier­e per quattro giorni le stesse persone a New York sarebbe come chiudere l’acqua fra le mani.

Alla fine questo mix crea il miracolo. In Svizzera, Schwab è riuscito a far dichiarare il Forum un’organizzaz­ione internazio­nale non profit, come la Croce Rossa. La missione è presentata con parole alate. Quest’anno per esempio il tema era «creare un futuro condiviso in un mondo spezzato». In pratica significa che il Forum non paga le tasse, dopo aver aumentato le tariffe e i ricavi del 50% a 280 milioni di franchi dal 2013 al 2017; e quest’anno, senza dubbio, la rete crescerà.

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 ??  ?? Fondatore Klaus Schwab, 80 anni a marzo, nato a Ravensburg, in Germania, è il fondatore e presidente del World Economic Forum (Afp)
Fondatore Klaus Schwab, 80 anni a marzo, nato a Ravensburg, in Germania, è il fondatore e presidente del World Economic Forum (Afp)

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