Stefania Sandrelli: storia con Tenco ma amavo Paoli
L’attrice: Ramazzotti? Più bella di quanto io sia mai stata
Stefania Sandrelli si racconta al Corriere: «Ho avuto una storia con Tenco ma Gino Paoli non l’ha mai saputo. Sono amica della Deneuve ma sto con le donne importunate».
Stefania Sandrelli, qual è il suo primo ricordo?
«Ricordo tutto, di persona o attraverso i racconti di mia madre. Sono nata nera, cianotica, stavo morendo, la levatrice disse di far scaldare un cucchiaio d’acqua; io lo afferrai prima con la destra, poi con la sinistra, cominciai a bere, mi salvai. Sono una che si ingegna. Dormo ancora oggi nello stesso lettone su cui sono nata. “Tu eri già una piffera appena venuta al mondo” diceva mamma». Come si chiamava?
«Florida, come lo Stato americano. Per i suoi dieci figli, nonno Giglio Flori scelse nomi che suonassero con il suo: Florina, Flora, Floro... Mamma aveva un gemello: Florido». Cosa faceva suo nonno?
«Era un proprietario terriero dissipatore. Alto due metri, bello, adorava le donne: tutte le lavoranti del negozio di ricami di nonna Iginia erano sue. Lei era povera, i suoceri non la volevano. Mio nonno, che era già sposato con due figli, la dovette rubare. La portò via in carrozza, come nelle fiabe». E suo padre?
«Otello Sandrelli. La sua famiglia aveva una pensione a Viareggio: pensione Sandrelli. Mi mettevano in mezzo nel lettone, la mamma mi chiedeva: “A chi vuoi più bene?”. “A te” sussurravo. Poi toccava a papà: “A chi vuoi più bene?”. “A te...”. Morì che avevo otto anni». Di cosa?
«Cirrosi. L’ultima frase che mi disse fu: “Al tuo ritorno troverai una bicicletta nuova”. Poi mi mandarono dalla zia in campagna. Mia madre me lo tenne nascosto, raccontò che papà era partito per un lungo viaggio; ma io sentii i cugini sussurrare che il babbo di Stefania era morto. Non dissi niente a mamma. Piansi a lungo con la testa sotto il pianoforte. C’era però questa bicicletta nuova, rossa. È stata la compagna della mia infanzia. Da allora inforcare una bicicletta è la felicità». Qual è il suo primo ricordo pubblico?
«Gino Paoli. Lo ascoltavo in tv cantare La gatta e mi piaceva quella vocina esile, da bambino. Allora andavano i cantantoni alla Tajoli,
Io sono un po’ puttanella, istintiva, credo al primo sguardo. Però ho un codice: mai con gli uomini di donne che conosco. E della moglie di Manfredi ero amica». Moravia?
«Buffo da morire. Lo rivedo seduto sul divano di casa mia, o sbuffare annoiato a un concerto di musica contemporanea. Ho girato Il
conformista, tratto da un suo romanzo. Ma quando Carlo Ponti, il produttore, davanti a Moravia tirò fuori un pacco di soldi per convincermi a interpretare La noia, rifiutai. Era un gesto volgare». Però ha girato La chiave.
«Le scene erotiche non sono facili, quando incroci lo sguardo degli operai, dei cameramen. Così il primo giorno ho fatto una sfilata nuda, dicendo: “Sono fatta così”. Sorrisero tutti. Abbiamo sdrammatizzato». Davvero chiese 600 milioni per girare il seguito? «La sceneggiatura di Miranda era troppo spinta: due da dietro, quattro con la bocca, sette con la mano... La mia agente mi tirò fuori. Ma resto legata a Tinto Brass, uomo ironico, delizioso». Davvero Trintignant le scrisse una lettera d’amore? «Stupenda. Quando sono triste la rileggo: