«Io, rovinata da false accuse Ora torno a fare il medico»
Modena, l’ex primaria assolta da truffa e corruzione dopo 6 anni
Risponde al cellulare mentre sta portando il bassotto Manhattan in una clinica veterinaria di Ravenna, per farlo curare: «La sua malattia ha annullato la gioia dell’assoluzione. Sono sopravvissuta a umiliazioni e offese grazie a lui. Capiva i miei momenti di sconforto e mi consolava con grandi baci».
Maria Grazia Modena è stata scagionata la scorsa settimana in Cassazione dall’ipotesi di falso, l’ultima prova che restava per pulire definitivamente la sua immagine di cardiologa d’eccellenza imbrattata da una raffica di accuse: associazione a delinquere, truffa al sistema sanitario, corruzione, abuso d’ufficio, sperimentazioni illecite. In sostanza capo di una «cupola» interna al suo ospedale.
Arresti domiciliari nel 2012, prelevata da casa dai carabinieri mentre gli elicotteri volteggiavano sui tetti come per i mafiosi, condannata in primo grado dal tribunale di Modena nel febbraio del 2015, assolta in appello il 2 dicembre dell’anno successivo. Fino alla sentenza della Corte di venerdì scorso. Una vicenda giudiziaria molto simile a quella di Ilaria Capua, la ricercatrice scagionata da un castello accusatorio che l’aveva trasformata in una «trafficante di virus» quando si occupò di influenza aviaria. Vi siete sentite?
«Le nostre storie hanno diverse similitudini. Mi ha contatta qualche mese fa attraverso alcuni miei ex specializzandi che lavorano negli Stati Uniti, dove si è trasferita schifata dalle vicende italiane. Io invece resto e voglio tornare in reparto con i pazienti. Non le ho risposto perché mancava la pronuncia della Cassazione. Adesso lo farò». Perché è rimasta vittima di tanto accanimento?
«Avevo 60 anni, ero all’apice della carriera, famosa, potente, invidiata, vincente. Dirigevo la cardiologia di Modena, insegnavo all’università, avevo creato gruppi specialistici di prim’ordine, ad esempio per lo scompenso cardiaco, e questo dava fastidio. Probabilmente avrò calpestato dei piedi, all’epoca Modena era attraversata da veleni. Hanno cercato di farmi fuori. Ma non mi sono mai data per vinta anche se umiliata in tutti i modi. Per strada mi ingiuriavano, ricevevo lettere con carta igienica insanguinate e messaggi sul cellulare irriferibili. Non ho mai cambiato numero di telefono, però». Basta l’invidia per una violenza del genere?
«Sì, nel mondo medico è sufficiente. L’ambizione è forse un peccato? Sì lo ammetto volevo creare una cardiologia d’eccellenza e ci sono riuscita. Ho dato la vita per il lavoro, uscivo alle 6 tornavo alle 9 di sera, niente figli per scelta. Mi hanno annoverata tra i camici sporchi della sanità modenese, come venne ribattezzata l’inchiesta, e catalogata dai media fra le dame nere della sanità. Il mio camice è pulito, come quello di mio padre Carlo, medico condotto a San
Felice sul Tanaro, paesino della bassa modenese, distrutto dal terremoto. Anche la mia casa natale è crollata e uno dei miei fratelli ha vissuto in roulotte». Chi le ha dato la forza per superare 6 anni da incubo?
«Mio marito Renato all’epoca era in pensione e si è rimesso a lavorare per mantenere me, il mostro. Sono tenace e credente. Credo in Dio e nella mia onestà. E poi la pet
therapy di Manhattan, sempre al mio fianco a guardarmi con occhi pieni di amore mentre passeggiavamo nella nebbia lungo la spiaggia del Lido di Venezia dove sono stata esiliata. La procura sosteneva che avrei potuto inquinare le prove solo perché ero rimasta in contatto con i miei studenti. Ringrazio i miei avvocati Massimiliano Iovino e Luigi Stortoni, e gli unici due colleghi che mi sono rimasti amici, Massimo Volpe e Bruno Trimarco. Gli altri si sono fatti risentire ora per salire sul carro del vincitore». Qual è il suo desiderio?
«Tornare in ospedale. Sono stata riammessa dall’Ordine dei medici e dall’università. Ho perso i migliori anni della vita di una donna. Esco a testa alta e ne sono orgogliosa».