Corriere della Sera

Quando i virus diventano «chauffeur»

- A.Bz.

Non ha avuto fortuna Jesse Gelsinger. Aveva una malattia rara del fegato chiamata deficit di ornitina transcarba­milasi, un enzima la cui carenza provoca un accumulo di prodotti di scarto del metabolism­o delle proteine nelle cellule, con danni agli organi e prognosi mortale.

Nel 1999 all’Università americana della Pennsylvan­ia, i medici hanno provato su di lui un’innovativa terapia genica: gli hanno iniettato il gene, capace di produrre l’enzima, trasportat­o da virus. Ma le cose sono andate storte: i virus erano troppi e così, a diciotto anni, è morto per una reazione immunitari­a incontroll­ata contro questi ultimi.

In seguito la terapia genica sull’uomo ha subito una battuta di arresto, ma i ricercator­i non si sono fermati (del resto anche i trapianti d’organo, all’inizio, hanno avuto esiti negativi, ma oggi salvano milioni di vite). E ora sta vivendo un nuovo Rinascimen­to.

In tutto il mondo sono almeno duecento i pazienti trattati con questa tecnica e buoni risultati, per lo più persone affette da malattie genetiche rare come l’Ada Scid, una grave immunodefi­cienza; la leuco distrofia meta cromatica, una malattia neuro degenerati­va; la talassemia, un’ alterazion­e dei globuli rossi che provoca grave anemia e l’amaurosi di Leber che determina cecità.

«La terapia genica — spiega Andrea Ballabio, direttore del Tigem, il Telethon Institute of Genetic Medicine di Napoli e professore di Genetica medica all’università Federico II di Napoli — usa geni come farmaci. Le copie sintetiche del gene sano vengono veicolate da virus di vario tipo, che hanno la capacità di infettare le cellule umane».

A differenza dell’editing, che riscrive il Dna, con la terapia genica, utilizzata per curare malattie cosiddette recessive (si manifestan­o quando entrambi i geni sono alterati), non è necessario sostituire il gene difettoso colpevole di far perdere alla cellula una certa funzione (per esempio la produzione di globuli rossi normali come avviene nella talassemia), ma basta aggiungere una copia di quello sano.

«La tecnica — continua Ballabio — può essere utilizzata sia “ex vivo”, cioè in laboratori­o su cellule prelevate dal paziente, oppure “in vivo”, iniettando i vettori virali con il gene direttamen­te nel malato». Nei due casi si usano virus diversi: nel primo, lentivirus, parenti dell’Hiv che provoca l’Aids, ma resi inoffensiv­i; nel secondo, virus simili agli Adenovirus che provocano il raffreddor­e.

La tecnica ex vivo viene sfruttata, per esempio, nell’Ada Scid per modificare i precursori dei globuli bianchi e proprio quest’anno il farmaco (messo a punto al San Raffaele di Milano) ha ottenuto l’autorizzaz­ione al commercio. Oppure per la cura di tumori come nel caso della Ca r-T celltherap­y( si veda articolo sotto ). O infine nell’ ep id ermo lisi bollo sa, un altro successo italiano: lembi di pelle geneticame­nte modificata, costruiti all’Università di Modena Reggio Emilia nei laboratori diretti da Michele De Luca sono stati trapiantat­i, l’anno scorso in Germania, su un bambino di sette anni, affetto da questa malattia che provoca il distacco della cute.

Con la tecnica «in vivo», invece, il complesso virus-gene viene iniettato nel circolo sanguigno( a Napoli si sta sperimenta­ndo nella muco poli saccari dosi di tipo 6, che comporta un accumulo di prodotti tossici nell’organismo con danni a vari organi) o direttamen­te nel tessuto da curare, come nel caso della retina. Negli Usa è appena stata approvata una terapia di questo tipo, per la cura di una forma di cecità ereditaria. Una cura biotech, la più cara di sempre: costo, 850 mila dollari.

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