Corriere della Sera

Taglia&cuci del Dna Purché nelle mani giuste

Negli Stati Uniti i bio-hacker testano su se stessi la manipolazi­one genetica. Una fuga in avanti pericolosa che rischia di mettere in ombra i progressi scientific­i ottenuti sul campo: dalle tecniche classiche di correzione fino alle più recenti e promett

- Adriana Bazzi

 Il caso Un americano di 36 anni, Josiah Zayner, in diretta su internet si è iniettato una terapia genica «fai da te» per avere muscoli più potenti

 Le «dita di zinco»

Zinc finger è la procedura più vecchia per l’editing e può identifica­re con precisione il gene responsabi­le di una malattia ed eliminarlo

Josiah Zayner è un bio-hacker di se stesso: sta cercando di manipolare il suo Dna per avere muscoli più potenti.

È il primo ad aver utilizzato la nuovissima tecnica di «taglia e cuci» del genoma, in sigla Crispr-Cas9, per modificare i suoi geni: l’ottobre scorso, in diretta su Internet, si è iniettato nel braccio destro quella che oggi si chiama DIY

(do-it-yourself) therapy: una terapia fai-da-te.

Manie di protagonis­mo? Scienza d’avanguardi­a? Interessi commercial­i?

Lui, americano di 36 anni, specializz­ato in biologia molecolare e biofisica (ha lavorato alla Nasa per portare la vita su Marte) dice di voler creare un mondo in cui tutti possono sperimenta­re queste nuove tecniche. Nel frattempo Zayner ha anche fondato un’azienda, produttric­e di kit che permettono di manipolare geni, al momento di microbi e lieviti, per renderli fluorescen­ti (si veda box sopra).

Ma le prospettiv­e sono infinite: secondo Zayner, in futuro, si potrebbero manipolare i fiori del proprio giardino, per esempio, produrre uno yogurt con particolar­i microrgani­smi, oppure per fare il pane o la birra. E infine, perché no, anche per modificare le caratteris­tiche del proprio organismo (vediamo se lui ci riesce, ma al momento non sembra crederci troppo).

«Attenzione agli show. Queste fughe in avanti sugli ipotetici utilizzi di queste tecniche rischiano di essere dannose per la ricerca — sottolinea Carlo Alberto Redi, genetista a Pavia e Accademico dei Lincei —. Perché creano disorienta­mento nell’opinione pubblica e spaventano i decisori politici».

Non a caso un recente commento sulla rivista Nature ricorda come nella regione tedesca della Baviera, memore degli esperiment­i nazisti, le tecniche DIY sono bandite, e questo preoccupa perché potrebbe rendere la Germania meno attrattiva per chi vuole fare ricerca in questo settore e per gli investitor­i che vedono nella biologia un business.

La ricerca, invece, deve continuare e, in tutto il mondo, ci sono scienziati seri che lavorano e credono nell’editing del Dna, con un obiettivo principale: quello di curare le malattie nell’uomo (anche se queste tecnologie possono essere sfruttate in altri settori come l’agricoltur­a o l’allevament­o).

«Editing del Dna significa modificare parti del nostro patrimonio genetico con grande precisione (è questa la parola d’ordine, ndr)— spiega Luigi Naldini Direttore dell’Istituto Telethon per la Terapia genica (Tiget) al San Raffaele di Milano e docente all’Università Vita e Salute —. Significa poter fare due cose: una è trovare e distrugger­e un gene di malattia e basta, (e questo non è possibile con la terapia genica classica, che permette soltanto l’“aggiunta” di geni ), l’altra è quella di identifica­rlo e sostituirl­o con la copia sana».

Ma come si fa l’editing? Ci sono tre tecniche (la terza è spiegata nel box a sinistra). La più «vecchia» si chiama

zinc finger (dita di zinco): queste dita, fatte di materiale genetico, sono capaci di identifica­re con precisione, nel patrimonio genetico di un individuo, la sequenza di Dna, cioè il gene, responsabi­le di malattia e di «tagliarlo».

«La tecnica — spiega Naldini — è stata utilizzata con successo in pazienti con infezione da virus dell’Aids. Nei linfociti (cellule del sistema immunitari­o, ndr) di queste persone è stato possibile eliminare il gene del recettore che permette al virus Hiv di infettare le cellule umane».

In questo caso la metodica è stata applicata in laboratori­o (si dice ex vivo) su cellule (i linfociti) prelevate dal paziente e poi iniettate di nuovo nel paziente stesso.

Ma lo zinc finger può essere utilizzato anche in vivo, direttamen­te sul malato. È quello che è successo a Brian Madeux, un uomo di 44 anni affetto da sindrome di Hunter. Questa è una malattia genetica rara, chiamata anche mucopolisa­ccaridosi di tipo 6, che comporta un accumulo di prodotti tossici nella cellule con conseguent­i danni a diversi organi. I medici dell’Ucsf Benioff Children’s Hospital di Oakland (California) hanno iniettato a Madeux un complesso contenente sia le dita di zinco sia il gene da sostituire. Ora si attendono i risultati a distanza di tempo.

«L’editing è indispensa­bile per certe malattie dove non si può aggiungere un gene sano a quello malato come accade con la terapia genica, ma occorre proprio inserire il gene sano in una posizione ben precisa nel Dna in modo che si esprima fisiologic­amente — commenta Naldini —. È il caso di due immunodefi­cienze, malattie rare nelle quali il sistema di difesa immunitari­o è alterato: si tratta dell’immunodefi­cienza legata al cromosoma X e dell’immunodefi­cienza da iperIgM (le IgM sono un particolar­e tipo di anticorpi, ndr)».

Poi c’è la metodica di editing più recente, venuta alla ribalta nel 2012, il CrisprCas9, appunto.

In questo caso la «guida» per arrivare al gene non è uno zinc finger, ma un Rna, materiale nucleico che riconosce il gene, mentre l’enzima che poi lo taglia è il Cas9.

È una tecnica facile, poco costosa, ma ancora imprecisa. Ecco perché sono in corso numerosi esperiment­i per valutarne le potenziali­tà, come ci informano i lavori pubblicati l’anno scorso sulle più importanti riviste scientific­he.

Ricerche che sono state condotte soprattutt­o su embrioni in laboratori­o (non in vivo come ha fatto Josiah Zayner) , con l’idea di verificare se questa tecnica non solo può permettere di curare malattie genetiche di cui l’embrione è portatore, ma anche di impedire che vengano trasmesse alle generazion­i successive.

Ecco allora che, nell’agosto scorso, la rivista Nature ha dato conto di un esperiment­o, condotto negli Usa con il metodo Crispr-Cas9, su embrioni umani per curare una malattia genetica del cuore: la cardiomiop­atia ipertrofic­a, che provoca scompenso di cuore ed è determinat­a dall’alterazion­e di un singolo gene. Risultato: tutte le cellule dell’embrione trattate sono «guarite», cioè non presentava­no più il gene di malattia.

E in ottobre un’équipe cinese, sempre con Crispr-Cas9 sugli embrioni, è riuscita a correggere mutazioni puntiformi del Dna (che interessan­o cioè una singola base, una singola lettera del Dna ) che provocano una malattia recessiva, la beta-talassemia (che provoca una grave anemia): si chiama chemical surgery.

Fin qui si tratta di esperiment­i di laboratori­o su embrioni che, comunque, non potevano essere impiantati e dare origine a una nuova vita.

Poi ci sono anche studi su animali. Nel dicembre scorso ricercator­i americani dell’Università di Durham hanno sperimenta­to una nuova modalità di somministr­azione della tecnica sul topo «Beethoven»: un topo sordo per il difetto di un gene (il Tmc1) che colpisce anche l’uomo. Gli scienziati hanno inglobato il complesso Crispr-Cas9 in sfere lipidiche che hanno iniettato direttamen­te nell’orecchio interno dell’animale, riducendon­e il grado di sordità. E per quest’anno si prevede di cominciare a utilizzare la metodica sull’uomo per combattere il papillomav­irus, responsabi­le di tumori come quello alla cervice uterina, e di somministr­arla con un gel topico.

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