La storia di Emily salvata dalle super cellule immunitarie
Emily Whitehead, una bimba americana di dodici anni, è una «testimone vivente»: così l’ha definita la rivista Nature nella sua classifica dei dieci personaggi famosi del 2017.
A cinque anni è stata colpita da una forma di leucemia linfoblastica acuta. Prima è stata sottoposta a una chemioterapia, come prevedono le linee-guida standard, poi a un trapianto di midollo, ma la malattia si era ripresentata.
Così, nel 2012, ha fatto da «cavia» a un trattamento sperimentale al Children’s Hospital di Philadelphia, il primo al mondo: i medici le hanno prelevato cellule immunitarie (i linfociti T), le hanno modificate geneticamente, inserendo un gene capace di riconoscere uno specifico antigene presente sulla superficie delle cellule tumorali (il CD19) e poi le hanno reinfuso i linfociti così modificati.
Questi linfociti, chiamati Cart-T (Chimeric antigen receptor - T) si sono dimostrati in grado di aggredire e an- nientare il tumore. Da allora Emily ha condotto una battaglia, con la mamma Kari e il papà Tom, all’Fda, l’ente americano per il controllo dei farmaci, perché questa terapia (tisagenlecleucel) fosse approvata, come è poi avvenuto negli ultimi mesi.
Più recentemente ha avuto il semaforo verde, è stata approvata, sempre negli Usa, una terapia analoga, per il trattamento dei linfomi. Terapie, comunque, ad alto costo: 475 mila dollari la prima, 373 mila dollari la seconda. C’è da dire, però, che si somministrano una tantum.
Car-T La bimba americana affetta da leucemia ha fatto da «cavia» per la sperimentazione