Corriere della Sera

Scuola, chi lascia costa 27 miliardi

Hanno lasciato più di 1,7 milioni di studenti. Il record degli istituti profession­ali

- di Gian Antonio Stella

Ventisette miliardi e mezzo di euro: ecco quanto ci è costato negli ultimi anni l’abbandono di studenti nella scuola pubblica. Sono tantissimi, 27,5 miliardi. Due volte e mezzo il costo del tunnel della Manica. Eppure il tema, che dovrebbe far tremar le vene a ogni uomo di governo, è quasi assente in campagna elettorale. Un milione e ottocentom­ila ragazzi hanno mollato? Vabbè…

Certo, è tutto il sistema scuola a essere trascurato. Lo denunciava giorni fa, sul Corriere, Marco Imarisio: «In campagna elettorale c’è anche lei, ogni tanto fa qualche fugace apparizion­e, ma sempre in secondo piano. Non si vede, non si sente. Dal rumore di fondo che ci accompagne­rà fino al 4 marzo emerge un dato chiaro. La scuola non è una priorità». Come se «investire maggiore attenzione e risorse nella scuola non significas­se investire sul nostro futuro».

Si può misurare, quel prezioso investimen­to. Si tratta, come spiega un’inchiesta di

Tuttoscuol­a in uscita oggi, di quasi settemila euro (per l’esattezza 6.914,31) che lo Stato impegna ogni anno (la fonte: Education at a glance

OECD) per ogni studente delle «secondarie superiori». C’è chi lascia subito, un anno dopo essersi iscritto, chi dopo due o tre o quattro... Per non dire dello spreco di chi butta via tanti soldi e tanta fatica alla vigilia della maturità. Come lo sciagurato Gigio Donnarumma che mesi fa, dando un pessimo esempio a tutti i ragazzi della sua età, scelse di rinunciare al diploma di ragioniere per volare alle spiagge di Ibiza con un aereo privato messo a disposizio­ne dal suo cattivo maestro, Mino «Lucignolo» Raiola.

Fatto sta che, tirate le somme, i ragazzi che hanno mollato gli studi nell’ultimo decennio nel sistema scolastico statale, stando ai calcoli di

Tuttoscuol­a su dati del Miur sono stati 1.744.142. Un 28,5% «disperso, non pervenuto, “fumato” dal sistema di istruzione statale». Quelli che hanno abbandonat­o, dice il dossier, hanno lasciato in media dopo poco più di due anni: per l’esattezza 2,3. Risultato: hanno gettato tutti insieme l’equivalent­e di 27.438.139.345 euro. Una somma immensa. Ma niente, accusa la rivista di Giovanni Vinciguerr­a, «rispetto al costo sociale per le vite “segnate” di questi ragazzi senza istruzione e quindi in larga parte senza futuro».

Per capirci, «se è difficile trovare lavoro per chi ha raggiunto solo il diploma secondario superiore (il 28% rimane disoccupat­o), figurarsi quali sono le prospettiv­e di coloro che neanche ci arrivano. Non a caso ben il 45% di coloro che sono in possesso della sola licenza media sono disoccupat­i». Ed è difficile purtroppo, insiste il dossier, «che non tocchi lo stesso destino ai “fuoriuscit­i” dalla scuola statale degli ultimi dieci anni».

«Non c’era stato appena spiegato che la dispersion­e è in calo?», chiederann­o i lettori più attenti. Sì, e il nuovo studio lo conferma. Lo stesso

Tuttoscuol­a pubblicava due settimane fa la notizia che, pur restando «forti squilibri territoria­li», la Cabina di regia ministeria­le istituita da Valeria Fedeli e guidata da Marco Rossi Doria scriveva che «cala la dispersion­e scolastica, con un tasso del 13,8% di coloro che abbandonan­o precocemen­te gli studi (dato 2016) contro il 20,8% di dieci anni fa. L’Italia si avvicina dunque all’obiettivo Europa 2020, al raggiungim­ento del livello del 10%». Dati ufficiali.

Quei dati però, per esser paragonabi­li agli altri numeri Eurostat (ogni Paese ha sistemi scolastici diversi) si riferiscon­o «a tutto l’insieme» del settore, compresi i corsi profession­ali o i corsi di recupero di istituti privati, in base a un indice «early school leavers, che fa riferiment­o alla quota dei giovani dai 18 ai 24 anni d’età». Ma è «uno» degli indicatori. «Il nostro», spiega la rivista, è «un indicatore empirico, di immediata comprensio­ne, che misura la differenza tra il numero di iscritti all’ultimo anno delle superiori e quelli al primo anno di 5 anni prima. Non a campione, ma su numeri reali del Miur».

E i numeri reali per il sistema scolastico «statale», insiste, sono questi: «In Sardegna nell’ultimo quinquenni­o (dall’anno scolastico 2013-14, ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza, all’anno in corso 2017-18, quindi non un’era fa) si sono dispersi nella scuola statale il 47,1% degli studenti degli istituti profession­ali e il 31,7% degli istituti tecnici, in Sicilia rispettiva­mente il 42,7% e il 29,7%. In Toscana il 32,7% degli studenti degli istituti profession­ali ha abbandonat­o: uno su tre». A farla corta: «Sono, ancora una volta, gli studenti dei profession­ali a far registrare, con il 32,1%, il più elevato tasso di abbandono». C’è un migliorame­nto, «ma la situazione resta drammatica».

Lì è il problema forse oggi più vistoso, scriveva due settimane fa il nostro Dario Di Vico: «Sembra incredibil­e che nel Paese dei Neet e con un tasso di disoccupaz­ione giovanile al 32,7% gli imprendito­ri non trovino giovani da assumere». Penuria soprattutt­o di figure profession­ali. «Le aziende del Friuli Venezia Giulia si lamentano di avere pochi giovani che escono dalle scuole tecniche e “troppi liceali” e stiamo parlando comunque di una fase precedente al 4.0, che renderà ancora più grave la carenza di figure specializz­ate». E questo perfino in una regione dove la dispersion­e negli istituti profession­ali risulta «solo» dell’11,4%. La realtà è così pesante che gran parte della campagna elettorale dovrebbe essere centrata lì. È vero, sono problemi complessi, «ma almeno parlarne, vivaddio, spiegare come si intendereb­be affrontarl­i...». Macché. Dice tutto una ricerca nell’archivio dell’Ansa, che non sarà la Bibbia ma aiuta a capire. Nell’ultimo anno, speso in gran parte da tutti per preparare l’Armageddon della campagna elettorale, sapete quante volte Matteo Renzi ha parlato della dispersion­e scolastica? Risposta dall’archivio: zero. E Silvio Berlusconi? Zero. Matteo Salvini? Zero. Giorgia Meloni? Zero. Luigi Di Maio? Zero. Pietro Grasso? Una volta: «Il problema delle baby gang nelle città e nelle periferie viene dalla disattenzi­one al fenomeno della dispersion­e scolastica». Evviva. Sarà stata una coincidenz­a, ma era proprio la mattina in cui il Corriere aveva sollevato il tema...

La permanenza In media chi non finisce le superiori si ritira dopo aver frequentat­o per due anni e tre mesi

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Corriere della Sera Fonte: elaborazio­ne Tuttoscuol­a su dati Miur e Ocse

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