Corriere della Sera

Incredibil­e ma Veri

- di Massimo Gramellini

Quando Di Maio, faccia da genero di tutte le mamme, ha presentato l’ammiraglio Rinaldo Veri come «il meglio dell’Italia», ogni anima sensibile ha provato un brivido di emozione. E quando «il meglio dell’Italia» ha illustrato le originalis­sime ragioni della sua candidatur­a (il futuro dei nostri figli), il brivido è aumentato, anche per merito di un mancato congiuntiv­o esploso tra le sue labbra per dovere di ospitalità. Ma i brividi sono diventati fremiti all’ora di pranzo, quando il Nelson dei Cinquestel­le è stato costretto a ritirare la candidatur­a, dopo la scoperta che faceva il consiglier­e comunale a Ortona in una lista di centrosini­stra collegata al Pd. Gli strali dei malevoli si sono indirizzat­i sul povero Di Maio, colpevole di mancato controllo. A me affascina di più la psiche dell’ammiraglio. Un uomo tanto impegnato a pensare al futuro dei nostri figli può non conoscere il regolament­o del partito con cui si candida, ma dovrebbe almeno accorgersi che non è lo stesso di cui fa parte. Se uno sta con Renzi a Ortona e con Di Maio a Roma, chi ci garantisce che non sia leghista a Busto, dalemiano a Gallipoli e sudtiroles­e nella Bolzano di Maria Elena Boschen? In Italia abbiamo elevato il cambio di casacca a un’arte, però mai finora un virtuoso del ramo era riuscito a indossare la nuova senza togliersi prima quella vecchia. Qui dove tutti sono maestri nel fiutare il vento per restare a galla, «il meglio dell’Italia» non poteva che essere un ammiraglio.

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