Corriere della Sera

Orlando contro il segretario: «Offende l’intelligen­za» E i suoi si sfogano sulla chat

Nella pattuglia di esclusi anche Marantelli: si cancella la sinistra

- Tommaso Labate

«Minoranze rispettate? Renzi non offenda l’intelligen­za altrui». Dopo la rabbia, la rassegnazi­one. Dopo la rassegnazi­one, lo scoramento. E poi, di nuovo, la rabbia. Andrea Orlando prende di petto Matteo Renzi. Riavvolge il nastro degli ultimi tre giorni e racconta di uno «scontro vero, reale», di una battaglia che ha portato «a quello che per noi è un atto estremo, cioè non partecipar­e al voto delle liste per il proprio partito». Una cosa, conclude il ministro della Giustizia, «che non avevo mai messo nel conto di dover fare». In serata Renzi invocherà lo stop alle polemiche, sottolinea­ndo che «è normale che gli esclusi esprimano la loro amarezza», ma sotto i plichi delle liste si nasconde la cancellazi­one degli ex Ds dalla geografia politica del Pd. Il vecchio partito post comunista che aveva trainato nel 2007 la nascita dei Democratic­i quasi scompare. Torna in Parlamento l’ultimo segretario, Piero Fassino. Scompaiono gli altri.

La pattuglia che poco prima della scissione del Pd stava con Bersani, D’Alema e Speranza — e che dopo il loro addio aveva preferito continuare con Renzi trovando riparo nell’area costruita da Maurizio Martina — finisce in blocco fuori dai giochi. Fuori Andrea Manciulli, ex segretario dei Ds toscani e rappresent­ante italiano alla Nato. Praticamen­te fuori il sottosegre­tario agli Esteri Enzo Amendola, altra carriera costruita tra i confini dell’allora partito di Fassino. Di fatto fuori anche Luca Sani, che aveva guidato i Ds nella provincia di Grosseto. Non sarà in Parlamento Gianni Cuperlo, ultimo presidente della Federazion­e dei giovani comunisti. E nemmeno Nicola Latorre, a lungo braccio destro di D’Alema.

«Era tutto già scritto. Senza tirare in ballo Sergio Mattarella, che non c’entra nulla, i nostri si sono suicidati dopo l’accordo con Renzi per l’elezione del presidente della Repubblica. Quello che succede oggi è la diretta conseguenz­a delle scelte di allora», spiega Ugo Sposetti, che dei Ds è stato il tesoriere storico, lo stesso che sul Fatto di ieri ha definito Renzi «un delinquent­e seriale». «I nostri», insiste, «hanno aiutato Renzi a eleggere Mattarella convinti che lui stesso gli avrebbe riconosciu­to un ruolo. E invece, incassato quel successo, la musica è cambiata. Ed eccoci qua». «Qua» è a Roma, dove non c’è nessun candidato nei collegi che faccia parte dell’area di Nicola Zingaretti, che pure corre da governator­e. «Qua» è anche dove Marco Minniti viene lasciato senza sponde. «Qua» è dove anche Andrea Martella, divenuto celebre tra i «compagni» da ragazzino per un apprezzame­nto pubblico che gli aveva rivolto nel lontano 2005 Cesare Romiti, rimane appiedato.

La chat degli ex ds che stanno con Orlando ribolle di rabbia. Daniele Marantelli, deputato uscente di Varese noto per essere stato ai tempi l’uomo che teneva il dialogo con la Lega, scrive: «Non frega a un ca..o di nessuno chi c’è o chi non c’è in lista. Il tema è che Renzi vuole cancellare un pezzo di sinistra per avere dei gruppi parlamenta­ri costruiti a tavolino e fare subito dopo un accordo in Parlamento con la destra. E lì sarà la fine». Stefano Esposito, che nel 2001 era stato il consiglier­e provincial­e che aveva organizzat­o il congresso Ds che avrebbe eletto Veltroni segretario (quello dello slogan I care), correrà solo nel suo collegio. «Quello che dovrò dire lo dirò dopo il voto. Parlare prima è folle, autolesion­ista. E basta con questa ipocrisia. Con Bersani nel 2013 non era andata meglio. Ero arrivato quarto alle parlamenta­rie e mi sono ritrovato decimo nella lista».

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