Lascia il n. 2 dell’Fbi: era in rotta con Trump
McCabe, 49 anni, si dimette prima della possibile pensione. Oggi il discorso sullo stato dell’Unione del presidente
Andrew McCabe WASHINGTON lascia il suo posto di vicedirettore dell’Fbi. Si metterà subito in ferie in attesa di maturare, a soli 49 anni, i requisiti del prepensionamento. La portavoce della Casa Bianca, Sarah Huckabee Sanders, commenta con i giornalisti: «Non c’entriamo nulla in questa vicenda, non ne eravamo al corrente. Chiedete alla Fbi». Ma Donald Trump e larghi settori del partito repubblicano hanno attaccato McCabe per un anno e mezzo, accusandolo di aver coltivato un insostenibile conflitto di interesse. La moglie di McCabe, Jill, nel 2015 si è candidata per un seggio al Senato della Virginia, accettando una donazione di 500 mila dollari da un comitato vicino a Terry McAuliffe, governatore dello Stato e punto di riferimento per Hillary Clinton.
Jill perse le elezioni, ma nel 2016 il marito Andrew diventò, dopo vent’anni esatti di carriera, vicedirettore dell’Fbi. Si è occupato delle email di Hillary e, dal 9 maggio 2017, dopo il licenziamento di James Comey e fino all’arrivo di Christopher Wray, il 2 agosto 2017 ha diretto ad interim il Federal bureau.
L’offensiva della Casa Bianca e dei repubblicani non si è mai placata. Per un motivo molto semplice: McCabe ha rappresentato la continuità dell’Fbi dopo l’uscita di Comey, continuando a indagare con energia sul Russiagate, il sospetto di collusione tra il team di Trump e il Cremlino per danneggiare Hillary Clinton.
Il presidente ha chiesto più volte il suo ridimensionamento. Nei giorni scorsi il
Washington Post ha riferito di un colloquio, avvenuto tra maggio e agosto 2017, tra il super poliziotto e il presidente nello Studio Ovale. Trump avrebbe chiesto a McCabe per chi avesse votato alle presidenziali, rinfacciandogli ancora una volta la storia della moglie e della Virginia. «Non ho votato» avrebbe risposto l’allora direttore reggente dell’Fbi.
Secondo le ricostruzioni, McCabe aveva già deciso di chiudere con l’Fbi a marzo. Il nuovo direttore dell’agenzia, Wray, lo avrebbe sempre difeso, respingendo richieste del ministro della Giustizia, Jeff Sessions, che avrebbe voluto relegare McCabe nelle retrovie. Ma, evidentemente, la linea di resistenza non era più sostenibile, anche se ieri dal quartier generale dell’Fbi è filtrata «sorpresa» per la scelta del vicedirettore.
Il caso segna la vigilia del primo discorso sullo «stato dell’Unione» che Trump pronuncerà stasera davanti al Congresso. Vedremo se il leader americano citerà anche il Russiagate o se, invece manterrà l’asse sulle «priorità in agenda». «The Donald» rivendicherà i successi economici, intestandosi il boom della Borsa e l’aumento dell’occupazione. C’è attesa soprattutto per la seconda parte: gli investimenti pubblici per le infrastrutture; le misure per sanare la situazione dei
Dreamers, i figli degli immigrati irregolari; il finanziamento del Muro. Inoltre Trump dedicherà un sostanzioso capitolo alle relazioni con la Cina. In un’intervista alla Reuters aveva preannunciato l’adozione di misure punitive nei confronti di Pechino.