Corriere della Sera

L’America e le sue alleanze

- di Sergio Romano SEGUE DALLA PRIMA

Il documento annuale sulla sicurezza nazionale, pubblicato dall’attuale presidenza nello scorso dicembre, dimostra che Trump e il suo stato maggiore hanno della sicurezza americana una concezione globale; e dal testo emerge continuame­nte la sensazione che gli Stati ambiziosi e poco inclini ad accettare la leadership americana debbano essere trattati come potenziali nemici.

È difficile immaginare che un uomo animato da questi sentimenti voglia rinunciare alle numerose basi militari (parecchie decine nei cinque continenti) che ha ereditato dai suoi predecesso­ri. Ma queste basi sono state create in un’epoca in cui il Paese ospitante e il Paese ospitato avevano interessi comuni e, nelle grandi emergenze, gli stessi nemici.

Possono avere interessi comuni, soprattutt­o dopo la fine della Guerra fredda, se Trump continuerà a trattare le regole multilater­ali del commercio internazio­nale come le sbarre di una prigione che il suo Paese deve spezzare? Trump rispondere­bbe, come a Davos, vantando le ricadute della sua riforma fiscale e sostenendo che quando l’America cresce, tutti crescono. Ma nella realtà tutti crescono insieme soltanto se ogni Paese, perseguend­o i propri obiettivi, è consapevol­e delle esigenze di coloro con cui deve raggiunger­e un’intesa. Come negli anni Trenta il protezioni­smo può soltanto generare nuovi protezioni­smi.

In ultima analisi il problema è anzitutto americano. Tocca agli elettori degli Stati Uniti decidere se dietro le strategie di Trump non si nasconda la prospettiv­a di un progressiv­o declino del loro Paese e se non sia interesse dell’America correggere la rotta.

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