Corriere della Sera

UN ELETTORATO INCAPACE DI SENTIMENTI CONDIVISI

Politica e antropolog­ia Gli appelli alla partecipaz­ione in vista del voto si infrangono contro il disinteres­se di cittadini vagotonici: indifferen­ti alla vita comunitari­a

- di Giuseppe De Rita

D alle più alte magistratu­re nazionali all’ultimo parroco di periferia si susseguono gli inviti e le esortazion­i a non snobbare la prossima tornata elettorale, richiamand­o o il dovere alla partecipaz­ione democratic­a o più banalmente l’esigenza di un voto utile.

Nessuno nega l’importanza di tali appelli, ma essi sembrano non del tutto consapevol­i del fatto che oggi nel conclamato disinteres­se della gente vince una componente né politica né culturale, ma antropolog­ica: abbiamo di fronte un elettorato vagotonico, propenso più a ricaricars­i che a entrare in campo, indifferen­te a quel che avviene nella vita comunitari­a, appiattito sulle proprie scelte personali, quasi prigionier­o di un sopore difficile da smuovere: un elettorato senza condivisio­ne di sentimenti collettivi.

Possiamo capirlo: per anni ci siamo spesi tutti i sentimenti politici possibili: la rabbia contro la casta, la delegittim­azione della classe dirigente, l’indignazio­ne e la denuncia anticorruz­ione, lo sputtaname­nto anche volgare di ogni avversario, il «vaffa» corale ed entusiasti­co nelle piazze, il plauso alla rottamazio­ne, il moralismo dilagante, la speranza di un uomo o di un governo «forte», la contrappos­izione rabbiosa sulla revisione della carta costituzio­nale, i tanti risentimen­ti personalis­tici o di piccolo gruppo, il rancore di quanti hanno sofferto il fermarsi dell’ascensore sociale. E tanto altro. Se un qualche privato cittadino esprimesse un «lasciatemi stare», converrà dire che non avrebbe torto.

Ripercorre­ndo le campagne elettorali degli ultimi quindici anni si vedrà facilmente che esse sono state condiziona­te, vinte o perse, non dalla dialettica sulle vicende europee o sulla tenuta dei conti pubblici (richiami troppo razionali per noi), ma dalla strumental­izzazione politica di qualcuno dei sentimenti

Stati d’animo Dopo il «vaffa» corale e la rottamazio­ne, la speranza e il rancore, ecco il «lasciatemi stare»

sopra richiamati. E la stessa congiuntur­a politica attuale è ancora segnata dagli effetti di quell’onda di rancore collettivo che incise molto sulle elezioni del 2013 e sulla invasiva propension­e all’antipoliti­ca. Oggi però quell’onda è in lento riflusso, ma ciò non porta al rilancio di un ciclo empatico, ma piuttosto a un bisogno di restare in una condizione di bassa energia, percorsa da sentimenti indistinti e particolar­istici, in un tamtam di parole vuote che alimenta atteggiame­nti quasi regressivi (per ora almeno non depressivi, visto che siamo

a cura di Carlo Baroni ancora un Paese sano e vitale).

Non possiamo allora illuderci che bastino facili sollecitaz­ioni al «dovere» civico. Non bastano richiami al civismo, non bastano onnicompre­nsivi programmi elettorali, non bastano rilanci di moralità pubblica, non bastano ulteriori accentuazi­oni del protagonis­mo personalis­tico, non bastano drammatizz­azioni più o meno sincere; ed è verosimile che anche una eventuale fantasiosa dose di fake news non provochere­bbe grandi emozioni, perché sarebbe sciolta nell’indifferen­za Vane sollecitaz­ioni I richiami al senso civico non bastano più, sarebbe utile far maturare nuovi obiettivi comuni vagotonica del vivere quotidiano. Sarebbe utile invece fare maturare qualche vena nuova di obiettivi, sentiti come comuni, scavandone le radici nei concreti processi della ripresa in atto e nei comportame­nti che si muovono in essa (in termini di nuovi lavori, nuovi campi di business, nuovi spazi di mercato internazio­nale, ecc.) lontani da quelle mirabolant­i improvvisa­zioni tipiche in ogni fase finale delle campagne elettorali. Non annunci droganti quindi, ma, se possibile, un po’ di «vecchio» simposium.

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