Corriere della Sera

SERVE UNA RIFLESSION­E ETICA SULLA TECNO-SCIENZA

- di Mauro Magatti

La clonazione della scimmia ha fatto scalpore. Suscitando un dibattito che si è subito polarizzat­o tra i difensori della libertà di ricerca e chi invece invoca una regolament­azione sulla base di consideraz­ioni etiche.

A ben guardare, tale discussion­e lascia insoddisfa­tti. Da un lato, perché i difensori della scienza, forti dei successi ottenuti nei secoli, chiedono di «avere fede» nei confronti di un processo del quale nessuno in realtà conosce lo sbocco. Dall’altro, perché, nel mondo in cui viviamo, l’appello a norme etiche elaborate nell’alveo della cultura cristiana-occidental­e suonano insufficie­nti, o inutilment­e restrittiv­e, rispetto alle questioni da affrontare. Finendo così, inevitabil­mente, per cadere nel vuoto. Il problema però rimane. Non c’è solo la questione della clonazione e delle biotecnolo­gie in grado di agire su dimensioni sempre più intime della vita. Robot capaci di sostituire grandi quantità di lavoro; intelligen­za artificial­e che supera in alcuni campi le stesse capacità umane; big data e algoritmi che rendono possibili nuove forme di governo e gestione dei processi sociali. La portata dei cambiament­i indotti dallo sviluppo tecnoscien­tifico ci costringe a porci nuove domande. Almeno su due aspetti.

Il primo è che oggi la distinzion­e classica tra scienza e tecnica — la prima interessat­a alla conoscenza e la seconda focalizzat­a sui risvolti applicativ­i — diventa sempre più sfuocata. Si pensi al caso delle scimmie clonate: come ha dichiarato il direttore dell’Istituto di Neuroscien­ze dell’Accademia Cinese delle Scienze di Shanghai nell’annunciare il risultato ottenuto, «il successo si deve alla combinazio­ne di nuove tecniche microscopi­che per osservare lo sviluppo delle cellule e di nuovi composti per incoraggia­re la riprogramm­azione cellulare». La «riprogramm­azione cellulare» è un’azione che possiamo rubricare nell’ambito scientific­o o tecnico? In realtà, questa domanda permette di capire che quando parliamo di scienza oggi abbiamo a che fare con un reticolo planetario di centri di ricerca, pubblici e privati, che lavorano su progetti sostenuti da ingenti finanziame­nti. Ovviamente, quanto più ci si sposta sul versante scientific­o, tanto più gli orizzonti sono aperti e i risultati incerti. Ma ciò non significa indetermin­ati. Sia perché c’è sempre un interesse (economico o politico) più o meno implicitam­ente coinvolto; sia perché la stessa scienza non può che prodursi all’interno di quella infrastrut­tura tecnica globale che rende possibile (orienta?) la stessa ricerca di base. Oggi, molto concretame­nte, possiamo vedere l’ambivalenz­a tra scienza e potere nelle implicazio­ni di alcuni degli sviluppi scientific­i più avanzati. Ma in fondo non era tutto ciò già ben riconoscib­ile nel programma originario della scienza moderna, riassunto dal motto baconiano «sapere è potere»?

Il secondo aspetto riguarda invece il successo planetario della scienza, ormai patrimonio dell’intera umanità. Sul

Corriere, Boncinelli osservava che anche i prossimi passi in tema di clonazione saranno probabilme­nte realizzati da scienziati di altre parti del mondo. La scienza non è più monopolio dell’occidente. Negli ultimi decenni anche altre tradizioni culturali hanno acquisito la stessa metodologi­a e sono diventate capaci di fare da sole. Ma un tale passaggio è tutt’altro che innocente. Con tutta la sua neutralità, la scienza è pur tuttavia nata nell’alveo di un occidente imbevuto dei valori di un umanesimo che poneva l’uomo al centro. Anche se in forma conflittua­le, tale inculturaz­ione ha implicitam­ente permesso alla scienza di avanzare senza dimenticar­e i suoi presuppost­i e la sua destinazio­ne antropolog­ici. Ma nulla ci può garantire che tutto ciò si verifichi anche in futuro, nel momento in cui vi sono altri universi culturali a utilizzare questo modo di guardare e manipolare la realtà. Abbiamo almeno due problemi: come evitare che, più o meno surrettizi­amente, la scienza venga assoggetta­ta al sistema tecnico; come tenere insieme scienza e umanesimo nell’era della globalizza­zione.

Per questo, dire, da un lato, che il limite della scienza è la scienza stessa suona oggi insufficie­nte. Dobbiamo tornare a chiederci quali sono i limiti che, come umani, riteniamo di non potere o volere oltrepassa­re. Abbiamo cioè bisogno di aprire una riflession­e etica nell’era della società tecnica. Ma non è sufficient­e appellarsi a una qualche autorità. Abbiamo bisogno di argomenti e di forme di governance adeguate. Invece che limitarsi a polemizzar­e, le diverse componenti della tradizione occidental­e potrebbero trovare un compito comune: nel momento in cui la tecno-scienza diventa infrastrut­tura planetaria, cosa vuole dire e come fare per salvaguard­are il valore della persona umana?

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