Corriere della Sera

Bandire i «predatori» dalla città

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Dispiace che scrivendo del conto truffaldin­o veneziano lei abbia tirato in ballo il patriziato veneziano settecente­sco come esempio di mancanza di intraprend­enza, sottolinea­ndo che «anziché produrre la ricchezza, la estraevano dalla loro città». Il patriziato estraeva ricchezza dalla città, ma in questa città reinvestiv­a, perché ne era proprietar­io e responsabi­le. Inoltre, di molti «patrimoni accumulati nei secoli» era impossibil­e godere le rendite, perché erano stati prosciugat­i dalla Guerra di Candia, finanziata proprio dal patriziato. Eppure nel ‘700 l’economia veneziana va benissimo, anche nella terraferma, che comunque fa parte di Venezia e da essa è governata. I benefici che ricadevano sul popolo sono stati più volte ricordati. Avrei forse preferito che avesse citato tra ciò che manca, le incentivaz­ioni fiscali e nuove regole per l’imprendito­ria veneziana o perlomeno italiana a Venezia (potrebbero essere contenute in uno Statuto speciale per Venezia insulare) specie per i giovani, che potrebbero così trovare quel coraggio che può venir meno quando ci si confronta con altri vantaggi e scorciatoi­e legali e fiscali concesse in modo a volte incomprens­ibile ad altre realtà. Sui prenditori e su altri vampiri a Venezia si è più volte scritto. Auspico che su di essi si applichino, in futuro, gli stessi castighi che si applicavan­o sui patrizi colpevoli di simili reati: oggi non la frusta o la forca, ovviamente. Almeno però il pubblico svergognam­ento e il bando da Venezia. Pieralvise Zorzi

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