Corriere della Sera

COSA SALVARE DEL ’15-18 UNA RISPOSTA A FELTRI

- Caro Franco,

Caro Aldo, Vittorio Feltri su Libero la pizzica sulla sua condanna del fascismo. Scrive in sostanza: è vero, la Seconda guerra mondiale fu un disastro; ma perché la stessa condanna non cala sui responsabi­li della Prima, che sparse ancora più morti? A me pare che l’obiezione di Feltri sia fondata. Franco Campi, Roma

Quando un grande giornalist­a come Vittorio Feltri ti critica, è sempre una buona notizia: intanto vuol dire che ti ha letto, e poi le critiche sono sempre più utili degli elogi. Anche a me l’obiezione pare fondata. Ci siamo già detti in questa pagina che ci sono troppe vie Luigi Cadorna in giro per l’Italia. Il nostro Paese entrò nella Grande Guerra in seguito a una forzatura ai limiti del colpo di Stato, che esautorò un Parlamento in maggioranz­a contrario al conflitto. I grandi partiti che si erano delineati con la recente introduzio­ne del suffragio universale maschile, i popolari e i socialisti, alla guerra erano – con qualche eccezione – contrariss­imi. La responsabi­lità dell’intervento italiano però non fu di un dittatore, che non c’era, ma dei nazionalis­ti, di una parte della vecchia classe dirigente liberale – non Giolitti però –, di qualche ex socialista rivoluzion­ario come lo stesso Mussolini, degli intellettu­ali come D’Annunzio e Marinetti che avevano infiammato molti studenti. Va detto che non si trattava di attaccare la Grecia o la Francia, l’Inghilterr­a o la Russia, ma di liberare Trento e Trieste, città italiane per lingua, cultura, sentimenti (anche se a Trieste viveva una forte comunità slava). Nella primavera del 1915 tutte le medie e grandi potenze europee stavano già combattend­o. Fu però folle e criminale non tenere alcun conto delle lezioni che la guerra aveva già impartito, e mandare migliaia di uomini a morire contro i reticolati, seguendo una tattica sbagliata e assurda. Ma di quella guerra c’è una cosa che va salvata: il Piave. La patria nacque allora, nelle trincee. L’Italia poteva essere spazzata via; resistette. Dimostrò di non essere un’espression­e geografica, ma un popolo, una nazione. I fanti contadini fecero quel che sapevano fare: badare alla terra, alla famiglia; evitare che anche alle donne da questa parte del Piave venisse fatto quel che stavano subendo le friulane e le venete sull’altra sponda del fiume. Per questo è giusto celebrare i cent’anni di Vittorio Veneto. E di questo non saremo mai abbastanza grati ai ragazzi del ’99, ai nostri nonni.

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