La nuova vacuità della politica
Gli studi andrebbero sempre aggiornati. Prendete un libro del 1973 che ha fatto epoca, I linguaggi
settoriali in Italia, a cura di Gian Luigi Beccaria. Quel volume conteneva tra l’altro un saggio di Umberto Eco sulla politica in cui il semiologo individuava varie tipologie di degenerazione retorica, tutte orientate ad approfittare dell’emotività dell’uditorio, della sua pigrizia e/o ignoranza. Già allora c’era una tendenza uniformante, per cui liberali, democristiani e comunisti, specie in tv, finivano per somigliarsi smussando le durezze dei comizi. Ma il male peggiore del discorso politico secondo Eco era semmai la crescente «sopraffazione verbale» ottenuta sempre meno con l’argomentazione persuasiva e sempre più attraverso una «apparente incomprensibilità». In un dibattito del 1968, l’onorevole Malagodi esprimeva «l’augurio che il nuovo governo possa agire per servire esclusivamente gli interessi obiettivi dell’Italia e non in vista della realizzazione di forme politiche eventuali e future delle quali è difficile oggi immaginare e valutare il contenuto concreto». Con quella tipica «formula incantatoria» volutamente indecifrabile i liberali negavano fiducia al centro-sinistra. Niente di più distante dallo stile politico attuale, tutto frasi brevi, enunciati diretti e «vaffa», privo di sfumature e omologato sì, ma verso l’urlo e non verso i mezzi toni. Quella che Eco definiva «pericolosa vacuità» non viene più declinata per via di concettosità astratte, ma per via di una pseudo concretezza solo in apparenza più accessibile. Innumerevoli gli esempi: «Dobbiamo creare competenze nella scuola e ripartire dalla capacità italiana di fare le cose» (Renzi), «Noi riteniamo che uno Stato moderno civile debba assolutamente trovare il modo di dare ai cittadini quanto a loro manca per passare una vita dignitosa» (Berlusconi), «Io non voglio che le pensioni ce le paghino gli immigrati che alla fine non pagheranno niente» (Salvini), «L’emigrazione? Bisogna affrontare questo tema con la volontà di risolverlo» (Di Maio). Applausi! Vacuità più casereccia che in passato. Ma che cosa è cambiato ancora in cinquant’anni nel discorso politico? La «formula incantatoria» degli uni non convive più con l’argomentazione persuasiva ma con la formula stregonesca degli altri. Uguale e (neanche tanto) contraria alla prima.