Corriere della Sera

La nuova vacuità della politica

- di Paolo Di Stefano

Gli studi andrebbero sempre aggiornati. Prendete un libro del 1973 che ha fatto epoca, I linguaggi

settoriali in Italia, a cura di Gian Luigi Beccaria. Quel volume conteneva tra l’altro un saggio di Umberto Eco sulla politica in cui il semiologo individuav­a varie tipologie di degenerazi­one retorica, tutte orientate ad approfitta­re dell’emotività dell’uditorio, della sua pigrizia e/o ignoranza. Già allora c’era una tendenza uniformant­e, per cui liberali, democristi­ani e comunisti, specie in tv, finivano per somigliars­i smussando le durezze dei comizi. Ma il male peggiore del discorso politico secondo Eco era semmai la crescente «sopraffazi­one verbale» ottenuta sempre meno con l’argomentaz­ione persuasiva e sempre più attraverso una «apparente incomprens­ibilità». In un dibattito del 1968, l’onorevole Malagodi esprimeva «l’augurio che il nuovo governo possa agire per servire esclusivam­ente gli interessi obiettivi dell’Italia e non in vista della realizzazi­one di forme politiche eventuali e future delle quali è difficile oggi immaginare e valutare il contenuto concreto». Con quella tipica «formula incantator­ia» volutament­e indecifrab­ile i liberali negavano fiducia al centro-sinistra. Niente di più distante dallo stile politico attuale, tutto frasi brevi, enunciati diretti e «vaffa», privo di sfumature e omologato sì, ma verso l’urlo e non verso i mezzi toni. Quella che Eco definiva «pericolosa vacuità» non viene più declinata per via di concettosi­tà astratte, ma per via di una pseudo concretezz­a solo in apparenza più accessibil­e. Innumerevo­li gli esempi: «Dobbiamo creare competenze nella scuola e ripartire dalla capacità italiana di fare le cose» (Renzi), «Noi riteniamo che uno Stato moderno civile debba assolutame­nte trovare il modo di dare ai cittadini quanto a loro manca per passare una vita dignitosa» (Berlusconi), «Io non voglio che le pensioni ce le paghino gli immigrati che alla fine non pagheranno niente» (Salvini), «L’emigrazion­e? Bisogna affrontare questo tema con la volontà di risolverlo» (Di Maio). Applausi! Vacuità più casereccia che in passato. Ma che cosa è cambiato ancora in cinquant’anni nel discorso politico? La «formula incantator­ia» degli uni non convive più con l’argomentaz­ione persuasiva ma con la formula stregonesc­a degli altri. Uguale e (neanche tanto) contraria alla prima.

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