Carige, le spine del dopo aumento: costi, governance, ricavi e faro Bce
Ma slitta a venerdì il board del confronto dopo la lettera del socio Malacalza
Il redde rationem dentro Banca Carige è solo rinviato: il consiglio dell’istituto ligure nel quale si tratterà della lettera inviata dal primo azionista, Malacalza Investimenti, per un «franco chiarimento» sull’aumento di capitale da 560 milioni, non si terrà più oggi, per motivi di incastri di agende. Se ne riparlerà venerdì 2 febbraio. Giorni in più per far lavorare le diplomazie.
L’intervento del primo socio — la holding della famiglia dell’imprenditore genovese Vittorio Malacalza, che è anche vicepresidente dell’istituto, controllata insieme con i figli Mattia e Davide — punta a sollecitare la banca guidata dall’amministratore delegato Paolo Fiorentino a dare maggiore spinta all’attività ordinaria la banca, ora che lo scoglio dell'aumento di capitale da 560 milioni è stato superato con successo, anche se in maniera complessa con l’intervento dei sub-garanti. Ma i giorni di decompressione tra l’invio della lettera, a inizio gennaio, e la data del board stanno aiutando a stemperare le tensioni.
Malacalza Investimenti nella lettera contesta fra l’altro 51,7 milioni di commissioni, in particolare alle banche ma anche ai vari advisor industriali, legali e di comunicazione. Soprattutto mette in dubbio l’effettivo rischio al quale le banche del consorzio formato da Deutsche Bank, Barclays e Credit Suisse, si sarebbero esposte, data la presenza di vari sub-garanti come Credito Fondiario, Chenavari e Sga, poi effettivamente intervenuti a rilevare quote importanti, oltre il 10%. Tanto è vero che i Malacalza preannunciano l’intenzione di «valutare, e se del caso perseguire, le responsabilità delle banche garanti». C’è anche la sottolineatura di una scarsa presenza sull’azionariato retail, anche se da quel fronte sono arrivati 200 milioni di aumento. Secondo fonti a conoscenza del dossier, in controluce la lettera mostrerebbe la preoccupazione di Malacalza di ritrovarsi con un azionariato di investitori finanziari che potrebbe a lui contrapporsi o quantomeno controbilanciarlo. Un azionariato, insomma, che sarebbe più vicino al ceo. Anche a questo farebbe riferimento indiretto Malacalza nella sua lettera.
Il pressing su Carige si spiega in quanto la famiglia vuole continuare a dire la sua, non fosse altro perché — compresi i 100 milioni versati in aumento di capitale — Malacalza Investimenti ha impegnato circa 376 milioni di euro per un 20% che oggi in Borsa vale circa 100 milioni, e ha l’autorizzazione della Bce a salire fino al 28%. Ma vuole farlo senza creare tensioni, anche con un occhio alla Vigilanza.
Anche Fiorentino smorza i toni della polemica: «I confronti aperti, se impostati in logica costruttiva, sono positiva linfa all’interno delle organizzazioni», ha detto a Milano Finanza, sottolineando di aver legato la sua retribuzione variabile ai corsi del titolo: perché ora c’è da spingere su impieghi e redditività.
La governance debole nel consiglio, che sarebbe stata sottolineata anche dalla Bce in una lettera, potrebbe eventualmente portare — ma solo dopo l’approvazione del bilancio, in primavera — a possibili uscite di consiglieri espressione di soci che hanno ridotto le quote, come Spinelli o la Fondazione Carige. Intanto il board dovrà affrontare un primo tema importante: l’outsourcing a Ibm delle parte informatica, con la costituzione di una newco (partecipata da Carige) e un contratto della durata di dieci anni che vale alcune centinaia di milioni. E poi ci sono gli incagli (utp), circa 500 milioni prossimi a finire sul mercato.